La stagnazione della produzione industriale italiana conferma ancora una volta che è assolutamente necessaria un immediato cambiamento di rotta. Prosegue infatti l’andamento a denti di sega dell’indice destagionalizzato della produzione industriale italiana.
Dopo il calo sul mese precedente dell’1,6% di luglio si è registrata in agosto una crescita dell’1,7% su luglio.
Nei primi otto mesi dell’anno si sono avuti quattro cali e quattro crescite. Il dato destagionalizzato di agosto è comunque lievemente superiore a quello di gennaio (107,3 contro 107), mentre rispetto ad agosto 2017 si registra un calo dello 0,8%.
L’indice della produzione industriale (che a fine agosto scorso è ancora al di sotto del 18,5% rispetto al livello ante-crisi) ha iniziato una lentissima risalita nel 2015.
Secondo il Centro Studi Promotor questa ripresa si è però interrotta a metà 2017 per lasciare spazio ad una nuova fase di stagnazione che è coerente con il rallentamento della crescita del Pil trimestrale che emerge con chiarezza dagli indici Istat.
La sequenza degli incrementi tendenziali del Pil mette in luce che, dopo un incremento massimo di periodo dell’1,7% nel secondo trimestre 2017, si è arrivati ad un +1,2% nel secondo trimestre 2018. La frenata è evidente e preoccupa dato il peso dell’attività manifatturiera sull’economia italiana.
Vi è dunque grande attesa per la pubblicazione il 30 ottobre della prima stima Istat sul Pil nel terzo trimestre del 2018. Se la tendenza al rallentamento della crescita venisse confermata – afferma Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor – sorgerebbero ulteriori dubbi sulla possibilità che la ripresa dell’economia italiana possa accelerare come previsto dal Governo e da tutti auspicato. E ciò nonostante che il contesto mondiale sia di generale espansione con un tasso di crescita che nell’Unione Europea è doppio rispetto a quello italiano e negli Stati Uniti è addirittura quadruplo.
Ma le politiche industriali adottate sino ad ora sono servite solo a far peggiorare la situazione italiana, senza investimenti, senza incrementi della produttività, senza aumenti dell’occupazione stabile. In altri termini le ricette imposte da Bruxelles e da Fmi non funzionano.
Come non servono a nulla le lamentele di Confindustria in mancanza di imprenditori coraggiosi e capaci.
E poiché la stragrande maggioranza di imprese italiane non esporta quote significative della produzione, è evidente che è indispensabile un rafforzamento del mercato interno favorendo un aumento della domanda grazie ad una maggiore disponibilità di liquidità delle famiglie.