Ascolto la “Pulcinella Suite” di Igor Stravinskij. Fuori piove a dirotto sin da prima dell’aurora…. e se anche non piovesse… la città è un deserto. Desolazione e silenzi. L’impero della paura…
Però, comunque, è Carnevale. E poi questa Suite viene da una mia Amica. Che l’ha postata su fb. Lei è una musicista. Con una sensibilità per i suoni e le loro sfumature rara. E una voce…
Mi lascio andare alla successione dei suoni. Alle note e alla loro armonia. Stravinskij che rilegge, e completa, un Pergolesi inedito. Mai eseguito. Gli ha messo gli spariti sul tavolo Sergej Djaghilev, l’impresario /genio dei Balletti Russi. Che ha trovato i manoscritti del Pergolesi a Napoli, tra la polvere di una Biblioteca. Vuole farne un balletto. E ci riuscirà. Con la musica di Stravinsky. Le coreografie di Massine. E un certo Pablo Picasso che disegna costumi e fondali…

La Suite, però, venne dopo. Con le cosiddette Suite Italienne. Ma questo, sinceramente, ora mi interessa ben poco. Come tutte le classificazioni musicologiche. La prima opera del “periodo neoclassico” di Stravinskij, dicono gli esperti. Non senza dissensi e dispute. Ma io non sono un musicologo. E questi termini non mi dicono nulla. Come tutte le classificazioni, d’altro canto. Anche in ambiti dove, per antico mestiere, un po’ di competenza dovrei averla… Classico, Neoclassico, Preromantico, Romantico.. Solo tentativi di incasellare l’arte. Di ridurre la bellezza, ineffabile, a schemi razionali. Uccidendola.
Io sono solo uno che ascolta, ora. Che si lascia… trasportare dalla musica. Dalla fuga di note. Dai motivi che si spengono e ritornano. Come onde del mare. Come folate di vento.
Pulcinella. Col suo passo leggero. Il suo movimento fluttuante. E il cappello a pan di zucchero. Che gli fu imposto, però, da Petito nell’800. Prima, dai tempi di Fiorillo che lo portò in scena nella Commedia dell’arte barocca, portava un tricorno. E sembra che avesse anche i baffi…
Però il pan di zucchero gli si adatta meglio. Lo distingue da tutti i suoi fratelli. Arlecchino, Brighella, Scapino , gli Zanni… Ed è giusto, perché la maschera napoletana non è, dopo tutto, un servitore. È un contadino. Che si è, per qualche ragione, soprattutto la cronica fame, inurbato. E che nella grande città – seconda solo a Madrid nei secoli dell’impero asburgico di Spagna–si destreggia come può. Un po’ sciocco, un po’ astuto. Come il Cacasenno di quel geniale cantastorie del Giulio Cesare Croce…
Dietro la maschera, però, si cela Maccus. Il Servo della Atellana. Il personaggio da cui Plauto, che probabilmente lo interpretava, prese il nome… E più sullo sfondo un qualche Spirito, o Demone legato alla fertilità. E all’eros.

Le note della suite si inerpicano lungo scale che potrebbero essere uscite dalle chine di Escher. I movimenti accelerano, poi rallentano. Poi accelerano di nuovo.
Mi sembra quasi di vedere intrecciarsi gli amori di Pulcinella per la bella Pimpinella… così almeno credo si chiami la sua controparte femminile. La sua Paredra.
Sono gesti di corteggiamento… buffo. Come sempre, in fondo, appaiono gli uomini innamorati. Ma sono, anche, passi di una danza che reca in sé, e cela, il mistero del desiderio. Dell’attrazione per il femminino… Non per nulla Stravinsky è l’autore di L’uccello di fuoco e della Sagra della Primavera. La sua musica è incarnazione del rito dionisiaco. Orgia Oscura. Ed Estasi luminosa.
Mi immagino le figure danzanti. Come scie luminescenti composte di note. Come armonie e dissonanze. Mi immagino lei. I capelli sciolti e rilucenti. Il movimento… etereo e sensuale…
Fuori continua a piovere. E continua a gravare la cappa plumbea di questi mesi. Uniforme e grigia. Vi è silenzio.
Ma, per me, è davvero una bella domenica di inizio carnevale…