Ilaria Cucchi sorella di Stefano Cucchi, geometra 31enne morto a Roma in circostanze sospette, il 22 ottobre 2009, dopo l’arresto per detenzione di stupefacenti, ha finalmente avuto giustizia.
Colpo di scena all’udienza del processo che vede i cinque carabinieri imputati per la morte di Stefano. Suo fratello è morto nell’ospedale dove era stato ricoverato di “fame e di sete”, come dichiarato nella sentenza della Cassazione, dopo le violente percosse subite in caserma nel momento dell’arresto.
Su Facebook scrive “il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi” .
Fondamentale la testimonianza di Francesco Tedesco, uno dei cinque militari imputati, che avrebbe confessato il pestaggio di Stefano Cucchi.
Ma ciò che dall’inizio ci ha colpiti in questa triste storia, è la forza di Ilaria Cucchi che ha voluto far conoscere questa brutta pagina di storia italiana. Non si è arresa alle minacce, alle difficoltà, agli insulti per poter far luce sugli abusi delle forze dell’ordine e ridare così dignità a suo fratello.
Tante sono state le insinuazioni sulla famiglia Cucchi perché Stefano secondo molti “era uno schifoso drogato, che valeva poco da vivo e che da morto è diventato un affarone per la sua famiglia”.
Per questo la famiglia Cucchi si è affidata alla regia di Alessio Cremonini, per realizzare un film che si intitola “Sulla mia pelle” e utilizzare così la potenza del cinema per fare informazione, sensibilizzare l’opinione pubblica circa la necessità di una famiglia di pretendere la verità sulla morte di un figlio e di un fratello vittima delle storture di un sistema giudiziario.
Un film che racconta gli ultimi sette giorni di un ragazzo che sulla sua pelle alla sua morte, mostrava i segni del dolore, dell’ingiustizia e dell’agonia lontano dai propri affetti familiari.
Ilaria Cucchi ci tiene a sottolineare la sua costanza in questi lunghi 9 anni a chiedere giustizia per Stefano ed ora si commuove di fronte alla vittoria di ammissione di colpevolezza, ottenuta grazie alla confessione di uno degli stessi imputati, che racconta il massacro di Stefano e tutto ciò che è accaduto nei giorni successivi.
Ancora sono impresse in lei le urla dei suoi genitori all’obitorio nel vedere il cadavere del figlio e le loro parole “mio Dio che ti hanno fatto” furono la sua grande forza nel non accettare che si possa morire per mano dello Stato.
Uno Stato che avrebbe dovuto prendersi cura di Stefano e che invece ha lasciato segni indelebili sulla sua “pelle” gli stessi che hanno permesso alla sua famiglia di ottenere finalmente giustizia.