Stilare una classifica dei migliori, in ogni ambito e per qualsivoglia parametro, comporta sempre una dose di soggettività e, di conseguenza, di critiche a posteriori da parte di chi non è stato inserito nella classifica o ha ottenuto – nel migliore dei casi – una valutazione inferiore a quella attesa. Vale anche, inevitabilmente, per la classifica delle aziende italiane in cui si lavora meglio. Però appare comunque evidente – e lo confermerebbero pure Catalano o Lapalisse – che è preferibile trovare un’occupazione in una di queste società piuttosto di ritrovarsi in un luogo di lavoro dove tutto non funziona, è precario, è a rischio di chiusura.
Diventa dunque estremamente interessante il TaLLks organizzato da Leading Law Notai e Avvocati il 24 maggio nell’ambito dei Torino Digital Days. Un momento di confronto e crescita culturale che spazierà dal lavoro alla reputation, dal marketing al metaverso.
Per quanto riguarda l’occupazione diventa dunque fondamentale l’attività di Great Place to Work che entra nelle aziende per valutare non i bilanci societari ma la qualità del lavoro, dei rapporti di lavoro.
Perché ormai ogni giorno si ripete la lagna di aziende che lamentano di non trovare addetti da inserire nelle officine, nelle botteghe artigiane, nei ristoranti e negli alberghi, nelle fabbriche e nei cantieri. “Tutta colpa del reddito di cittadinanza”, viene ripetuto ossessivamente. Evitando di chiedersi perché ci sono industrie, laboratori, catene alberghiere, attività commerciali dove, al contrario, anche i giovani cercano di farsi assumere.
Sarà forse colpa di un clima di lavoro sereno? Di retribuzioni adeguate? Di possibilità di carriera basate sul merito? Della capacità di valorizzare le caratteristiche di ciascun lavoratore? Di un ambiente non opprimente anche sotto l’aspetto degli spazi in cui operare? O anche solo della capacità di far conoscere tutte queste caratteristiche?
Perché, sicuramente, esistono anche altri gruppi, altre fabbriche, altri uffici, altri ristoranti ed hotel che offrono analoghe retribuzioni ed analoghi percorsi di carriera in ambienti altrettanto gradevoli. Però non lo fanno sapere, dando per scontato che si tratti di aspetti marginali, irrilevanti. Salvo poi lamentarsi per non riuscire a trovare il personale necessario.
Si preferisce la lamentela invece di rendersi conto che la qualità, del lavoro e del lavoratore, non è un diritto assoluto. Deve essere pagata. In denaro ed in qualità delle condizioni complessive. Ma anche con la capacità di farsi conoscere ed apprezzare. Ormai, per le figure professionali di qualità, la valutazione è reciproca. Il datore di lavoro valuta le competenze del potenziale dipendente, il lavoratore valuta la qualità dell’azienda in cui dovrebbe trascorrere una parte consistente della propria giornata e, in prospettiva, della propria vita.
Più si sale di livello professionale e più questi elementi diventano importanti. Coinvolgendo anche la località in cui ha sede l’azienda in cui lavorare. Perché il degrado urbano non alletta chi teme di far crescere i propri figli tra spaccio di droga, pessime scuole, inquinamento, violenze, scippi.
Tema delicato. Se ne discuterà alle 14 del 24 maggio al Tag Agnelli di via Giacosa 36, a Torino. Una delle città più in crisi, non solo sotto l’aspetto dell’occupazione.