La storia dell’umanità è fatta di contrapposizioni, più che di continuità: di fasi che si alternano, con picchi e abissi uguali e contrari. Classico e anticlassico, razionale e irrazionale, guerra e pace, statica e dinamica: questo ha costruito, nei secoli, quel bizzarro coacervo di bene e male che noi chiamiamo “civiltà”.
Naturalmente, questa civiltà è una creatura alquanto strabica: è completamente sbilanciata, nelle sue caratteristiche, a favore di una limitata porzione di quella comunità, assai più vasta che, invece, definiamo genericamente come “umanità”: ovvero, l’Europa e i suoi succedanei.
Il che, agli occhi di qualunque pensatore relativista appare come un autentico sopruso storiografico e antropologico. Perché, ci dice il pensatore suddetto, ogni cosa va analizzata nel proprio contesto: fatti i debiti confronti e tenuto conto dell’ambiente, il suono di un tronco cavo, percosso nella jungla da un indigeno, per accompagnare un suo rito tribale, vale quanto la Messa da Requiem di Mozart. Non sono, ovviamente, la stessa cosa: ma significano la stessa cosa.
Il che, su di un piano strettamente astratto, ci può pure stare: di fatto, però, le due cose stanno reciprocamente come gli scarabocchi che scrivo io e l’Odissea. Non scherziamo: non è tutto relativo. Il che non significa che l’indigeno sia una specie di mentecatto irredimibile e che Mozart esprima una sorta di razza eletta: vuol dire semplicemente che la storia ha modellato due, chiamiamoli così, modelli culturali molto diversi.
Uno dei quali, per tanti motivi, risulta, oggi, meno evoluto rispetto all’altro: magari, fra duemila anni, sarà l’esatto contrario, proprio perché la storia dell’uomo opera come ho indicato all’inizio.
Ciò cui assistiamo in questo periodo, però, contravviene a tutte le regole di questo processo evolutivo: anzi, non è affatto un processo evolutivo, ma, semplicemente, un cortocircuito storico. Mai, infatti, nella storia della civiltà, si era vista l’idiozia arrogarsi il titolo di guida del progresso: mai gli imbecilli, gli ignoranti, i peggiori, avevano preteso di comandare.
E, purtroppo, il corollario inevitabile di questo fenomeno è la più ottusa, insensata iconoclastia: solo chi si collochi al di fuori della storia può desiderare di cancellare la storia medesima. E questo si spiega perfettamente con il bisogno di eliminare ogni possibilità di paragone tra la propria assoluta mancanza di cultura e tutte le culture che, nel tempo, si sono sovrapposte a formare la civiltà come la conosciamo.
La scusa può essere anche l’ingiusta uccisione di un afroamericano da parte della polizia, ma non è questo il punto: e non è nemmeno la questione della conclamata brutalità delle forze dell’ordine statunitensi o dell’inestinguibile mentalità razzista della società americana. Il punto è il desiderio di comandare o, perlomeno, di dire la propria, da parte di un’umanità educata al brutto, allo sporco, al disordine mentale, sessuale, morale. Le forze del caos, insomma.
E non bisogna commettere l’errore di paragonare questa esplosione di demenza ad altri momenti sanguinosi e rivoluzionari della storia: dietro i pogrom, gli olocausti, le ghigliottine, c’era una dottrina, per quanto aberrante potesse essere. Dietro questa montante marea di fango, c’è l’assenza, anzi la negazione di ogni dottrina: c’è solo assenza di pensiero, c’è solo vuoto. E, in quel vuoto, corre ululando Fenrir.