Quando l’ormai ex sottosegretario leghista Claudio Durigon ha proposto di reintitolare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini mi sono fatto immediatamente l’idea che stesse perseguendo un disegno machiavellico, poiché l’entità della questione è evidentemente irrisoria – stiamo parlando di una targa da apporre in un fazzolettino di terra nel centro di un capoluogo di provincia scarsamente popoloso – mentre le conseguenze politiche sarebbero state evidentemente eclatanti, come si è potuto facilmente verificare. Pensavo addirittura che avesse concordato questa boutade con Matteo Salvini e con Giancarlo Giorgetti come exit strategy del Carroccio dal governo. Una provocazione, cioè, finalizzata a una reazione centupla.
Dico questo perché mi pareva davvero impossibile che una persona senziente potesse decidere di lanciare un macigno tale nello stagno governativo e politico: in questa valutazione naturalmente mi dissocio da chi attribuisce a qualunque nanoscopica questione che riguardi il Fascismo una “superiore valenza revisionistica” giacché la storiografia, se la si vuole fare, va fatta seriamente, non con le crociate toponomastiche.
Con un notevole cambio di scala, mi pare che una situazione analoga si sia verificata per quanto concerne l’Afghanistan, sulla cui vicenda non mi addentro, data la mia crassa incompetenza sul tema. Ma anche guardando in superficie mi pare inequivocabile che si tratti, come moltissimi osservatori hanno già detto, di una débâcle forse persino più umiliante di quella che gli Stati Uniti hanno subito in Vietnam. Da un lato Joe Biden può contare su un credito molto forte, dovuto al fatto di avere liberato l’America (per essere più precisi: gli statunitensi liberal e politically correct) dal pericolo di un secondo mandato di Donald Trump. Dall’altro, però, la batosta che gli USA stanno subendo – e con loro la civiltà, come almeno la intendiamo alle nostre latitudini – è tale che il credito potrebbe esaurirsi molto velocemente. La conferenza stampa di Biden, peraltro, è stata un imbarazzato e imbarazzante balbettio che non ha certo giovato.
Terzo e ancora molto diverso caso quello svedese, dove il governo (su suggerimento in realtà di una singola persona) ha deciso di adottare nei confronti della pandemia da covid-19 una politica estrema, di totale liberalità, evitando cioè le misure di sicurezza e prevenzione adottate nel resto d’Europa e in gran parte del mondo avanzato. Non voglio addentrarmi nel merito né nel dettaglio delle conseguenze, ma è fuori di dubbio che questa politica ha avuto come conseguenze un aumento di mortalità tra le persone anziane e, soprattutto, non ha consentito di raggiungere il risultato cinicamente perseguito di una veloce immunizzazione del paese. Sta di fatto che il re in persona ha dovuto presentare le proprie scuse alla popolazione, dicendo letteralmente «abbiamo sbagliato».
Ho coltivato per molti anni della mia vita la convinzione che, qualunque cosa accadesse ai piani alti delle istituzioni, ci dovesse essere una ragione. Da parecchio tempo, ormai, ho compreso che le cose non stanno così e che i vertici della politica, il potere, talvolta decidono in base a valutazioni casuali e incompetenti. Esattamente come facciamo noi quando commettiamo più minute fesserie. Perché, come sappiamo, errare è umano e questa regola non ammette alcuna eccezione. La differenza è soltanto che, in taluni casi, le conseguenze riverberano su molte persone. Detto ciò, quello che irrita non è che i delegati siano insipienti come i deleganti, cosa che anzi è ovvia: non si capisce come un sistema bottom-up potrebbe produrre istituzioni pubbliche di qualità migliore delle cittadinanze che le hanno incaricate. La cosa davvero fastidiosa e pericolosa è che anche le più solenni fesserie vengano sanate con una semplice dichiarazione di scuse o, addirittura, senza nemmeno quella, facendole immediatamente archiviare nel dimenticatoio.
Sembra un po’ di vivere nei cartoon dei «Simpson» in cui sia Homer sia Bart commettono le più esilaranti e surreali idiozie, nascondendosi dietro la menzogna o non preoccupandosi nemmeno di fare questo, tanto confidano nella comprensione di Lisa e di Margie. Ecco, anche noi siamo estremamente comprensivi nei confronti di chi esercita il potere non avendo evidentemente alcuna capacità per farlo. Ma non per affetto, come accade in casa Simpson. Probabilmente perché ravvisiamo in questa incompetenza un riflesso della nostra.