Donatella Di Cesare è una delle intellettuali più stimate dalla sinistra. I suoi articoli compaiono regolarmente su L’Espresso e Il Manifesto. Giusto allora che anche La Stampa le dia spazio in prima pagina.
È successo anche giovedì 6 maggio, quando, di spalla, è comparso un suo pezzo dal titolo “Ma gli anni ’70 non furono solo di piombo”.
La materia del contendere era la recente accettazione da parte del governo francese ad estradare in Italia sette terroristi rossi che quarant’anni fa si macchiarono di crimini di sangue nel nostro paese. Faccenda che, dopo aver occupato le prime pagine dei giornali, è finita in farsa, come tutti ben sappiamo.
Sin dalle prime righe si intuisce che la condanna di quei fatti, il cordoglio per le vittime e la vicinanza alle famiglie presuppongono un “però” che prima o poi arriverà.
E infatti, verso la fine, compare un’affermazione che stupisce per non dire che lascia sbigottiti.
In merito a quel periodo atroce intanto la Di Cesare si affretta a dire che non ci fu solo il terrorismo ma il femminismo, i diritti civili, l’internazionalismo (sic!) e le grandi lotte.
E fin qui. Ma secondo lei “le cose non tornano. C’è stata in Italia, a sinistra, una grande rivolta – la più importante e diffusa nel contesto occidentale del dopoguerra – che proseguiva quella del ’68, ma che era anche molto diversa, sotto ogni aspetto più radicale [per forza! Si sparava! n.d.r.]. In alcune aree ha assunto la forma di lotta armata [Ecco, appunto. n.d.r.]. Condannare la violenza è necessario [E meno male!]. Ma chiediamoci perché è avvenuta la rivolta degli anni Settanta, quella “breccia” [breccia?] su cui già da tempo il pensiero filosofico riflette [Parla di se stessa in terza persona, naturalmente…]. E interroghiamoci sugli effetti che durano ancora oggi e sono evidenti. Ad esempio in alcune metamorfosi della sinistra di governo che, condannando in toto quel movimento [quello della lotta armata, si badi bene!] si è privata anche di idee e prospettive che forse potrebbero essere oggi decisive”.
Capito la Di Cesare? Secondo lei si è buttato il bambino con l’acqua sporca. Con la condanna del terrorismo la sinistra si sarebbe “privata di idee e prospettive […] decisive”.
Quali idee? Quali prospettive? Quelle degli espropri proletari? Quelle del “colpiscine uno per educarne cento”? Dove colpire significava ferire, “gambizzare”, rapire e ammazzare a tradimento? O magari quelle dell’”uccidere un fascista non è reato”?
La Di Cesare non specifica, non chiarisce. Ma intanto lancia un sasso in piccionaia.
E si lascia persino scappare una conclusione apodittica del tipo “Sono convinta che, a differenza di quel che si dice, i giovani siano molto interessati e lo dimostrano in più occasioni”.
Ci permetta l’autrice di augurarci che non sia così.