La casa editrice Fefè Editore inaugura la nuova collana IL PELO NELL’UOVO- per la narrativa italiana e straniera di ieri e di oggi, con l’intrigante romanzo di Algernon Blackwood “Le streghe di Vezin. I casi di John Silence, investigatore dell’occulto” (€uro 13,00 p. 127) prefazione di Leo Osslan, scrittore inglese di notevole successo nel soft horror, nel mistery e in particolare nella weird tale nella prima metà del ‘900. Blackwood reinterpretò la nobile tradizione britannica in quei generi letterari introducendo anche elementi psicologici sulle orme di Freud e di altre avanguardie scientifiche, creando una sintesi avvincente in cui l’occulto fonde insieme streghe, fantasmi e la profondità della psiche umana.
Il Dottor John Silence, medico della psiche, uomo mite, intuitivo, disponibile e intelligente si trova ad affrontare il caso di Arthur Vezin e le sue vicissitudini, avvenute in un villaggio del Nord della Francia, narrate dal protagonista stesso. Arthur Vezin, un uomo timido e mite, mentre si trova nella Francia settentrionale, durante il viaggio di ritorno da una solitaria gita in montagna che si concede ogni estate, trascorre il tragitto in treno insieme a una comitiva di turisti inglesi suoi compatrioti, rumorosi, ingombranti e fastidiosi, che suscitano in lui un forte disagio, tanto da spingerlo a scendere dal treno e sostare per una notte nella piccola cittadina in cui esso si sta fermando, per proseguire il giorno successivo con un altro treno.
Essendo il corridoio e i predellini ostruiti dagli altri passeggeri, Vezin bussa al finestrino esterno, dalla piattaforma, chiedendo al francese che durante il viaggio era seduto di fronte a lui di passargli la valigia, spiegandogli in francese che desidera scendere lì. Il francese, una persona anziana, lo aiuta ma contemporaneamente, gli mormora una lunga frase all’orecchio, di cui riesce a udire poche parole, mentre gli rivolge uno sguardo, in cui si mescolano approvazione e rimprovero. L’ingresso di Vezin nella cittadina, sembra portarlo dalla vita moderna a un secolo remoto. L’uomo trova una stanza a buon prezzo in una vecchia locanda, gestita da un’ostessa alta e grossa, che con un tono fluido e ammaliante gli fa capire che da quel momento la sua vita sarebbe stata amministrata e organizzata, secondo i canoni del luogo che lo ospita.
Ben presto Vezin si accorge che questo modo di agire si estende a tutti gli abitanti della città che, apparentemente immersi nelle loro attività, in realtà lo sorvegliano, come intessendo una ragnatela invisibile ma ferrea, intorno a lui. Mentre è invaso da una strana indolenza che sembra impedirgli di lasciare la città, percepisce con crescente inquietudine, come la vita diurna della stessa sia una copertura, ma la sua esistenza si manifesti nell’oscurità, con il corollario di concerti notturni che rifluiscono in vocalizzi animali, che sembrano toccarlo negli angoli più riposti della sua anima e della sua mente. L’arrivo della figlia della locandiera, una giovane donna dal fascino felino e insinuante, provoca in lui l’emergere di memorie sepolte e di emozioni e passioni, credute sopite per sempre. In un crescendo di colpi di scena e rivelazioni fulminanti, Vezin deve lottare strenuamente per evitare di essere trascinato nel gorgo di un passato diabolico, rischiando anima e mente, ma riuscendo infine a risollevarsi grazie a un coraggioso colpo di reni.
Sarà il Dottor Silence, in ultima analisi, a mettere insieme i tasselli del mosaico di Vezin, chiarendone tutti i dettagli, in un finale dolceamaro e coinvolgente.
Algernon Blackwood ha costruito una simmetria narrativa perfetta, illustrata da uno stile essenziale, vigoroso, profondo nell’analizzare elementi soprannaturali e psicoanalitici della personalità umana, incarnati da personaggi dal forte spessore psicologico, cui si deve aggiungere l’abilità nel rendere la natura, i luoghi e le costruzioni coprotagonisti del racconto e non meri elementi coreografici, ritraendo con notevole forza, il loro interagire con le vicende umane.