Mosca è sotto sanzioni internazionali dal 2014, quando ha effettuato il colpo di mano in Crimea, che ha poi annesso alla Federazione, e in Donbass, che ha destabilizzato l’est ucraino con una guerra che è proseguita da allora e che è servita da pretesto per l’invasione dell’Ucraina.
In oltre un decennio la politica della Russia ha ridotto con attenzione il debito del settore pubblico e privato interno e ha concesso alla banca centrale il tempo di costruire un forziere di attività estere abbastanza grande da sostenere le finanze del Paese per mesi, se non anni. Quindi non è scontato che le sanzioni sconvolgeranno gravemente l’economia del paese e la capacità di garantire e onorare le scadenze sul debito, nei fatti avvicinando la Russia a un default tecnico. “Le sanzioni non fanno nessun danno agli americani ma faranno più male all’Europa occidentale”. Così ha affermato qualche giorno fa Federico Rampini, a Quarta Repubblica. Sono sanzioni che a Putin non faranno male, perché si prepara già da anni a resistere ad una raffica di sanzioni economiche occidentali. Il Premier russo ha promosso un’economia sempre più povera, ma anche più autosufficiente e meno esposta all’estero.
Il quotidiano britannico Guardian sostiene che è improbabile che le sanzioni messe in atto negli ultimi giorni da Ue, Usa, Regno Unito, Giappone e Canada abbiano effetti significativi sull’economia russa o sulla sua stabilità finanziaria. Si pensa che solo l’intero pacchetto di misure utilizzate contro l’Iran, cioè escludendo la Russia dal sistema di pagamenti internazionali, Swift, e vietando anche gli acquisti di petrolio e gas russi, otterrà qualche risultato. La Russia sapeva benissimo che la Nato non avrebbe inviato truppe, l’Occidente avrebbe reagito essenzialmente allineata al modello americano di sanzioni economiche. Dunque Mosca ha senz’altro considerato di doversi preparare alle sanzioni.
Un arma a doppio taglio quella delle sanzioni, considerando che i paesi dell’Ue possiedono un totale di 300 miliardi di euro di beni russi che sono vulnerabili alla guerra finanziaria senza esclusione di colpi. Anche il Regno Unito ha forti interessi in Russia, perché possiede miliardi in più tramite società come Bp, che ha una partecipazione di quasi il 20% nella compagnia petrolifera russa Rosneft.
Una durezza delle sanzioni imposte contro la Russia da Unione Europea, Stati Uniti ma anche da Belgio, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud, Singapore, perfino dalla neutrale Svizzera. Sanzioni che hanno sorpreso quasi tutti gli osservatori, e forse perfino lo stesso governo russo. Non dimentichiamo però che alcune sanzioni sono già state imposte in varie altre circostanze, come per esempio dopo l’invasione della Crimea del 2014, e non hanno mai impensierito la Russia, anche perché è sempre stato piuttosto semplice trovare scappatoie: infatti alcuni oligarchi e politici russi sono sotto sanzioni da diversi anni, ma i loro interessi e attività non hanno subìto particolari contraccolpi.
Si ipotizza che la ricchezza di Putin sia difficile da quantificare e individuare: né lui né Lavrov hanno proprietà, conti correnti o altri tipi di investimento al di fuori dalla Russia, e dunque è probabile che i loro investimenti all’estero siano stati fatti tramite prestanome o con qualche altra forma di occultamento.
Esistono tuttavia ancora margini per colpire l’economia russa. Ad esempio, si può impedire alle navi russe l’accesso ai porti occidentali, creando una specie di embargo che avrebbe serie conseguenze.
Ma in che modo le sanzioni danneggerebbero Italia e l’Europa? La situazione potrebbe ovviamente cambiare se l’Occidente decidesse di sanzionare le forniture di energia, o peggio ancora la Russia di interromperle. Anche per questa ragione, l’Europa sta cercando a gran velocità di ridurre il più possibile la sua dipendenza dal gas russo. “Diversificare le fonti” sostiene il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Ma ormai, alla luce attuale dell’evolversi del conflitto in Ucraina, sembrerebbe un po’ troppo tardi.
Intanto ad opporsi alle sanzioni è la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock e il suo collega alle Finanze, Christian Lindner, che si sono detti contrari a un divieto delle importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia nell’ambito di nuove sanzioni legate all’invasione dell’Ucraina.