Tra le millantamila bischeritudini che ci recò in dono lo stramaledetto Sessantotto, una ve n’è di cui pochissimo si discute, ma che assaissimo incide sul nostro sentimento delle cose.
E’ l’idea che le forze dell’ordine non siano un presidio che lo stato democratico assegna alla nostra sicurezza, sibbene sbirraglia della peggior specie, cui unico scopo è applicare al popolo opere di sadismo sue proprie doppiate, per così dire, da altre carognate indotte dall’alto.
Cieco strumento d’occhiuta rapina, braccio violento della legge e chi più ne ha più ne metta.
Ora come allora, la gente perbene fa spallucce, di fronte al berciare degli asini di borgo e ai loro “ACAB”: tuttavia, anche tra chi non si sognerebbe mai di definire sgherri o carogne i tutori dell’ordine è filtrato un veneficio, sottile ed esiziale, che impedisce di vedere negli uomini in divisa una figura amica, rassicurante, alleata.
Noi non andiamo fieri dei nostri carabinieri, dei nostri poliziotti: non siamo loro riconoscenti, come dovremmo: troppo spesso ci dimentichiamo dei loro sacrifici, della loro fatica, dei loro disagi, mentre siamo pronti a cogliere fatiche e disagi di molte altre categorie antropologiche. Perfino di quelle che non meriterebbero affatto tanta attenzione.
Così, oggi, alla fine di una settimana che ha visto quattro incidenti mortali che hanno coinvolto la forze dell’ordine, e che sono passati sotto silenzio, non posso fare a meno di confrontare questo nulla mediatico con le celebrazioni per la morte di quel poveretto di Carlo Giuliani.
E mi domando se questo è un Paese normale oppure no. Ricordare come un eroe un povero ragazzo, disadattato, drogato, sociopatico, ucciso mentre cercava di ammazzare un carabiniere, e non spendere una parola per i carabinieri o i poliziotti morti in servizio, mentre cercavano di proteggerci dai delinquenti veri (che Giuliani, diciamocelo, come delinquente era un dilettante), non è cosa da Paese normale né da Paese civile.
E’ roba da Terzo Mondo o, meglio, è un rigurgito tardivo e decomposto di quel dannato Sessantotto e delle sue cazzate sul “vietato vietare”: di quella logica da Cottolengo per cui libertà vuol dire arbitrio e le regole sono catene da spezzare.
Questa filosofia da scimuniti in gita premio, tra i molti disastri che ha suggerito, è direttamente madre del portato di cui sopra. Di questa idea malsana per la quale un poliziotto deve per forza essere una carogna, un sadico, un nemico, un servo del sistema: dimenticando che, in uno Stato democratico, il sistema siamo noi.
Così, io, oggi, alla faccia di tutte le sessantotterie di riflusso e di tutti i sessantottardi fuori tempo massimo, vi chiedo un pensiero, cari electomagici, uno solo, per quei carabinieri morti, per le loro famiglie, per quei poliziotti. Non solo per loro, ci mancherebbe, ci sono le vittime di abusi, ci sono le morti impunite: ma anche per loro, per una volta.
Perché è gente che si guadagna un pane faticoso e, spesso, doloroso: sono uomini capaci di grandi sacrifici, che hanno per compito la difesa del nostro popolo. Meritano molto più rispetto di quanto venga loro riservato, specialmente quando muoiono per fare il proprio dovere.
Quanto alla marmaglia che abbaia contro tutto ciò che sappia di pulizia e di ordine e che inveisce e sputa sulle forze dell’ordine, come quella maestra ubriaca di qualche tempo fa, la risposta più chiara, più clamorosamente svergognante, la diede, proprio in quel Sessantotto fottuto, Pierpaolo Pasolini.
Quando chiarì, con parole inequivocabili, chi fossero, tra i carabinieri, i poliziotti e gli studenti protestatari, i veri proletari, e chi i figli di papà che giocano alla rivoluzione. Et de hoc satis.
1 commento
secondo me non interessano a nessuno questi tipi di settori lavorativi.