“Allora prof. finisce quel discorso oggi?” gli occhi della mora scintillano. Curiosità mista a ironia. Decisamente.
Quale discorso, scusa?
“Quello che ha interrotto la scorsa volta… sui libertini…”
Veramente, ne abbiamo già parlato abbastanza. E dobbiamo andare avanti col programma…
“Eh no prof.! Mica ci può lasciare così a mezzo…noi siamo curiosi” parecchi cenni di assenso. Poi, il Boro
“A’ proffe, noi sta storia dei lebbertini e de don Giovanni ce intriga un casino…” le guardo. E rifletto un momento. Dovrei andare avanti. Pensavo di parlare di Sarpi e del Concilio di Trento…ma…
Va bene. Vediamo di riprendere allora. Visto che, per una volta, qualcosa suscita il vostro interesse. (addirittura un applauso…cribbio)
Don Giovanni è un personaggio letterario. Inventato, o meglio messo in scena per la prima volta da Tirso de Molina. In un dramma del 1632, “El burlador de Sevilla”. L’ingannatore, meglio ancora, il seduttore di Siviglia. L’autore era un importante ecclesiastico, e uno dei massimi drammaturghi di quello che gli spagnoli chiamano el Siglo de Oro. Il Barocco. Da lui ha preso le mosse poco dopo il grande Molière per il suo “Don Giovanni e il convitato di pietra”. E da lì tutti gli altri, sino al capolavoro di Mozart su libretto del nostro Da Ponte. Passando per un balletto di Gluck e un dramma, poco noto, di Goldoni. Per arrivare al poema romantico di Byron. E oltre… sino ai giorni nostri…
“Quindi era un personaggio di fantasia ? Non è mai esistito Don Giovanni?” scuoto la testa.
No. È solo una figura letteraria. Però ha incarnato un atteggiamento, un’etica reale. E ne è diventato mito e paradigma insieme.
“Quindi non è reale?”
Vedi, i miti sono sempre reali. Certo, don Giovanni non è storicamente esistito. Ma è esistito ciò di cui lui è la rappresentazione, anzi l’incarnazione letteraria. Il libertino.
“Che era un zozzone che se le faceva tutte…” risate generali. Figurarsi se il Boro si lasciava sfuggire l’occasione…
Beh, non è proprio così…certo, il libertino passava da una donna all’altra. Da un’avventura all’altra. E, come dici tu, se le faceva, se non proprio tutte, tante…comunque, ad essere onesti, meno di un bagnino di Rimini negli anni ’60.
(a questo punto devo fare una pausa. Obbligata. Le risate e i lazzi stanno facendo cadere i muri…).
La differenza è, però, che il libertino non si…divertiva. Non traeva piacere dal… farsele. Ciò che gli interessava era il gioco della seduzione. Possiamo dire che rappresenta una interpretazione estrema della Ars Amatoria di Ovidio.
“Ma Ovidio, prof., non era anche dietro a Dante? Cioè, ricordo che ci ha detto qualcosa lo scorso anno… ” guardo la glaucopide quasi con affetto. Allora qualcuno ascoltava ciò che dicevo. Nonostante la DAD.
Brava! Ovidio è all’origine di tutta la poesia d’amore occidentale, dal Medioevo in poi. E in tutti i suoi aspetti. Quello dell’amore spirituale, platonico di Dante per Beatrice. Ma anche la seduzione erotica del libertino. Il gioco crudele.
“Ma come è possibile”? Sono due cose così…diverse. ”
Sono diverse, eppure sono due aspetti dello stesso sentimento. Ammesso, e non concesso, che così si possa chiamare. Vedi, forse la spiegazione, per una volta, è in Petrarca…
“Che a lei mica piace tanto, eh, prof.?”
Beh, diciamo che come carattere lo sento troppo lontano. E come poeta grande, ma troppo… manierato. Però Petrarca definisce la Donna “fiera bella e mansueta”. La paragona, quindi, ad un animale feroce. Anche se reso “mansueto” dall’amore.
Ed è qui la chiave. L’amore viene paragonato da Ovidio ad una battuta di caccia, dove la Donna è la preda e l’uomo…
“Cacciatore! Semo cacciatori noi, prof!” il Boro.
“Voi siete solo porci” la glaucopide. Acida. Ma lui le lancia un sorriso furbo. E lei…arrossisce.
Certo. L’ uomo è il cacciatore. Ma la Donna è una preda pericolosa. Un animale feroce, un grande felino che ti può sbranare…
“Na panterona!” risate generali.
Non hai proprio detto la solita cretinata. La pantera, per i poeti, ha l’alito che profuma di Rosa. E la rosa è il simbolo dell’Eros. Di quello che può condurre alla conoscenza e alla salvezza. Come in Dante. Ma anche di quello che ti può portare alla perdizione e alla morte. Che ti può sbranare. E lo vedremo coi romantici, tra non molto…
Comunque, il libertino è costretto, dalla sua stessa razionalità, a negare qualsiasi forma di trascendenza. Esiste solo la vita materiale, transitoria. Hic et nunc.
(alcuni sguardi vitrei. Fortuna che non faccio loro anche latino…)
Però esiste l’amore. E l’amore è pericoloso. Ti può sbranare. Il libertino gioca con l’amore, perché la sua è una continua sfida alla morte. Sfida disperata, perché è ben cosciente che, alla fine, la morte vincerà. La pantera lo sbranerà. Ma intanto si… vendica. Del destino e del non senso dell’esistenza. E lo fa seducendo le donne. Con crudeltà. Perché sa che la Pantera non avrà alcuna pietà di lui. Quando verrà il momento…
Si è fatto silenzio. Capita, ogni tanto. E nel silenzio sento il suono della campanella. Mi accingo ad uscire, infilando questa, maledetta, mascherina. Ma ho fatto i conti senza la mora…
“Ma lei, prof, una Donna così, una pantera dall’alito di rosa, come ha detto, l’ha mai incontrata?”
Sarebbe meglio non rispondere. Ma non è possibile sempre fuggire. Annuisco.
Sì.
Gli occhi neri sono carichi di ironia.
“E?”
E… niente.
Esco.