Ormai è chiaro a tutti che il meccanismo della cassa integrazione non ha funzionato per una scelta strategica iniziale sbagliata. L’urgenza per rispettare i tempi per sostenere i redditi dei lavoratori e delle loro famiglie è rimasta inattesa. L’errore è stato gestire una pandemia con gli strumenti, già precari, della tradizionale cassa integrazione pensata per le normali crisi o riorganizzazioni aziendali.
Esistono sicuramente chiare responsabilità su questa scelta, a maggiore ragione perché nella cassa in deroga si è scelto di seguire procedure adottate 10 anni fa. Una procedura complessa che ha impedito il dialogo tra i sistemi informatici e le amministrazioni, producendo il risultato disastroso attuale.
Purtroppo anche le nuove procedure introdotte con il decreto Rilancio non risolveranno il problema in futuro. La procedura prevede che ai lavoratori sia pagato un acconto del 40% (circa 450 euro) dopo metà luglio, e il saldo (circa 600 euro) a inizio settembre.
Quando si parla dei pagamenti in ritardo ci si riferisce alle prime 9 settimane di ammortizzatori sociali previsti dal decreto Cura Italia. Tutto questo appare inquietante alla luce del fatto che dovranno essere presentate altre domande relative alle 4 settimane previste dal decreto Rilancio.
Il problema maggiore è stato il pagamento diretto da parte dell’INPS, senza anticipo dal datore di lavoro e con l’intervento delle Regioni per la cassa in deroga. Secondo Enzo De Fusco, uno dei migliori consulenti del lavoro italiani, è stato sbagliato utilizzare procedure ordinarie per un’emergenza epocale. I drammatici ritardi dell’erogazione della cassa integrazione in parte sono dovuti alle rigide procedure per la sua richiesta. Appare chiaro che l’obbligo di fornire dati e informazioni eccessive in emergenza Covid19, ha messo in ginocchio imprese ed Inps.
Bisognava aggiornare i sistemi informatici, al massimo in 15 giorni dopo l’inizio dell’emergenza, bisognava avere la prontezza di realizzare un software e un processo gestionale nuovo, che richiedesse un unico strumento di tutela e accesso ai dati personali per velocizzare i pagamenti. Lo dimostra il fatto che tali rettifiche informatiche sono state necessarie in un secondo momento rendendo di fatto più lunghe le procedure. Il numero eccezionale di domande di ammortizzatori sociali ha mandato in tilt il sistema. In tre settimane sono state fatte movimentazioni di cassa equivalenti a cinque anni di attività ordinaria.
A un certo punto i consulenti del lavoro hanno denunciato che, nella stessa aerea del sito Inps, c’erano sia i 7 milioni di partite iva che chiedevano i 600 euro sia i consulenti che caricavano migliaia di domande di cassa integrazione. Il paradosso è che i soldi ci sono, ma non vengono erogati con la velocità richiesta per un mancato allineamento del sistema informatico. C’è sicuramente chi è responsabile di tutto questo.
In un articolo de Il Giornale scopriamo con certezza che più di un milione di lavoratori sono ancora oggi in attesa della cassa integrazione. Questo accade nonostante il Presidente grillino INPS, Pasquale Tridico, avesse promesso di pagare a tutti gli assegni di cassa integrazione rimasti in lunga attesa. È un documento interno all’INPS a confermare che Tridico nasconde la verità, tutto questo avvalora il sospetto di tutti i consulenti del lavoro e di alcune associazioni rappresentanti l’opposizione.
Tutti i lavoratori si chiedono cosa sia successo negli uffici dell’INPS. L’apparato burocratico dell’Istituto di previdenza pare si sia inceppato sul modello Sr41, un documento in cui l’azienda comunica gli Iban degli aventi diritto. Un iter in cui dovrebbero essere i datori di lavoro a comunicare gli Iban dei lavoratori e che si è dimostrato complicato per fare concludere efficacemente le domande.
Questa tesi è ampiamente dimostrata dal grande numero di lavoratori, che ad oggi, non ha ancora ricevuto gli aiuti dello Stato per il periodo di marzo e aprile. Un documento interno INPS che si intitolerebbe “Aggiornamento cassa integrazione al 12 giugno 2020”, racconterebbe i veri numeri dei lavoratori in attesa, che sono circa un milione. Risulta che la cassa integrazione pagata ammonti solo all’85% degli Sr41 ricevuti. Inoltre risultano “lavorate” solo l’89% delle domande ricevute.
Ormai è chiara la responsabilità del Presidente Tridico ma è ancora più chiaro che affidare le domande di Cig, del decreto Cura Italia, alle procedure ordinarie abbia sepolto gli uffici regionali di una mole di lavoro enorme che avrebbe reso impossibile un’eventuale inversione di rotta. L’ex sottosegretario al lavoro, Claudio Durigon, ipotizza che i problemi non si fermeranno qui, perché dalle Regioni continuano ad arrivare in media dalle 500 alle 1.000 domande al giorno.
A queste domande prossimamente si aggiungeranno, sempre secondo il decreto Rilancio, altre 4 settimane di cassa integrazione che le aziende potranno chiedere, ed è elementare prevedere che gli uffici si ritroveranno in un nuovo caos con altre richieste. Sono tanti gli esponenti politici a intimare le dimissioni del Presidente INPS Pasquale Tridico per i ritardi nell’erogazione della Cig presenti e purtroppo futuri. Nel mondo del lavoro post Covid19 aleggia il sospetto che tante aziende stiano cogliendo l’attimo per tagliare costi e fare un massiccio ricorso ai sussidi.
Secondo De Fusco la strada da seguire era diversa. L’INPS avrebbe dovuto mettere a disposizione lo stanziamento per pagare la cassa integrazione direttamente alle imprese. Esse avrebbero corrisposto ai lavoratori le somme come se fossero uno stipendio. Procedura che si sarebbe rilevata semplice e veloce. Tutto questo doveva essere applicato in virtù del fatto che sarà necessario accompagnare le imprese con la cassa integrazione fino a fine anno.
In questa fase le aziende hanno bisogno di sicurezza per conoscere con congruo anticipo quale sarà il supporto dello Stato in termini di cassa integrazione. Lasciare gli imprenditori nel dubbio appare poco produttivo perché pone un freno al ritorno alla normalità delle imprese. È normale pensare che qualora mancasse l’appoggio dello Stato per la cassa integrazione inevitabilmente si scaricherebbe il costo della pandemia sul datore di lavoro, che per tenere i conti in equilibrio, dovrebbe attuare dei tagli del personale. Le decisioni delle prossime settimane del governo saranno fondamentali per capire quali saranno le prospettive occupazionali dei lavoratori in Italia per un lungo periodo.