Un’amica iraniana posta (neologismo che detesto, ma, purtroppo, inevitabile) una foto del suo albero del Natale. “Da quando vivo in Italia, lo faccio sempre.”
È musulmana sciita. Convinta e praticante. Ma fa l’Albero di Natale. Alla faccia degli ebeti politicamente corretti, che ritengono le nostre tradizioni offensive per i nuovi venuti. Dagli inutili burocrati di Bruxelles, a certi preti della nuova (cosiddetta) chiesa di Bergoglio.
Non è la sola. Ho molti amici musulmani che, in certo qual modo, sono usi festeggiare il Natale. Con Albero e decorazioni. Per altro non solo in İtalia, o in quella che, un tempo, veniva definita l’Europa Cristiana. E che oggi, con l’avvallo del Vaticano, si è trasformata nel laboratorio di Soros, Gates e soci…
Vedo, infatti, foto di altri amici, a İstanbul, a Baku in Azerbaigian, con il loro, allegro, Albero di Natale…
Contraddittori? No. Tali possono apparire solo a coloro che confondono l’Islam, nella sua enorme complessità, con minoranze radicali, di ispirazione Wahabbita e Salafita. Che, per altro, sono eresie, diciamo così, moderne. Modernissime. E risentono proprio della astrattezza ideologica di quell’occidente che credono di combattere…
Gli iraniani, poi, o meglio i popoli di cultura iranica- quindi Azeri, Tagiki, Curdi, popoli del Pakistan, Afghanistan, Nord dell’India, Turchi … tutto l’antico Impero Achemenide – hanno una festa tradizionale molto importante. Che coincide praticamente con il nostro Natale. La chiamano Shab e Yalda o Shab e Chilleh. Comunemente nota come la Notte di Yalda, anche se l’altro nome sembra sia più antico. E Yalda introdotto per influenza dei Cristiani Nestoriani giunti dalla Siria. Comunque è la Notte che segna il passaggio dall’autunno all’inverno. E annuncia il Solstizio. La rinascita del Sole. Retaggio della tradizione Mithriaca, poi assorbita dalla religione di Zarathustra. Antica, antichissima… Probabile radice della stessa festa romana del Sol Invictus. Che fu voluta dall’ Imperatore Aureliano, che del culto di Mithra era seguace, come molti legionari. E, infine, assimilata al Natale cristiano. Che è festa introdotta abbastanza tardi, proprio per operare un, necessario, sincretismo con quel culto Solare che, nell’Impero, era diffuso… e molto sentito…
Ma questo non è un, dotto, saggio di Storia delle Religioni. Per altro materia dei miei, remoti, studi universitari. È solo un modo per osservare come le tradizioni si fondano fra loro. E siano, in buona sostanza, come onde del mare che si susseguono e accavallano. Sempre diverse, ché mai ci si può immergere nella stessa acqua. Per dirla con Eraclito. Eppure sempre, nella sostanza, uguali. Perché uno, in fondo, è il mare. E qui, alla fin fine, aveva ragione Parmenide.
A Sab e Yalda la festa è grande. I bambini la attendono con ansia… e osservano i preparativi con occhi incantati. Viene allestita una ricca mensa. Dove i piatti cambiano a seconda delle diverse regioni. I dolci, soprattutto. Come, a ben vedere, era anche da noi, prima che il Panettone industriale assorbisse pan pepati, panrozzi, pangialli, panforti…
Non deve però mancare la frutta. Quella fresca, uva, meloni, angurie, melograne…. Che annunciano la rinascita della vita. E la prossima, ancora lontana, primavera.
E quella secca, che viene sgranocchiata sino all’alba, ascoltando i racconti degli anziani. Le fiabe che si tramandano di generazione in generazione. Come avveniva, un tempo, nelle campagne del nostro triveneto e, in generale, di molta parte del paese. I filò, accanto al fuoco o nelle stalle, mangiando castagne arrostite e noci. E raccontando storie, per far scorrere le gelide notti d’inverno.
E non si dovrebbe dormire nella Notte di Yalda. Ma attendere l’Aurora del Solstizio. E trarre auspici per l’anno futuro. Spesso leggendo versi dal Diwan di Hafiz. Il più grande poeta persiano. Al quale si ispirò Goethe per i suo “Divano Orientale Occidentale”. Probabilmente la sua opera più importante dopo il Faust.
“L’eternità sta nel vino, coppiere, /a me / versane sino all’ultima goccia… /.
Versi come questi risuonano nella lunga veglia Notte di Yalda. È come se noi, la Notte di Natale, recitassimo Dante. Con il quale, per altro, il grande poeta persiano presenta molte, sorprendenti, affinità. Di materia e spirito poetico. Ma leggere Hafiz è, per le genti di cultura iranica, anche un modo per trarre auspici sul futuro. Una forma di divinazione.
L’ Albero di Natale. I versi di Hafiz e le rosse tavole di Yalda. Il silenzio delle tenebre prima del Solstizio. E l’attesa della Luce.
Lo spirito delle tradizioni che va al di là delle forme apparenti. Un universo di simboli, echi, consonanze. Quello che uomini privi di qualsiasi sensibilità, arroganti nella loro convinzione di essere moderni, tracotanti nel loro credersi superiori agli antichi, non capiscono. Non potranno mai capire. Condannati al vuoto. Alla paura.
Quanto a noi…
“Tu versami il vino coppiere. Sino all’ultima goccia. Di eternità.”