Dunque, siamo il paese della pasta. Certo, si mangia anche altrove. Ma non è la stessa cosa. Noi abbiamo una cultura, anzi un vero e proprio culto della pasta . Ed è…arte. Arte farla. Arte prepararla. Arte condirla. Ma tutto parte a monte. Da come e con cosa la si fa. E quale forma le si dà. Perché, anche a parità di ingredienti, le paste non sono uguali. Una cosa sono i rigatoni. Tutt’altra gli spaghetti. Per fare il più banale degli esempi.
Ogni pasta chiama il suo condimento. Ed ogni sugo, ogni salsa ha la sua pasta privilegiata. Quando vai all’estero, ed anche in troppi locali per turisti in Italia, e su un menù leggi “Spaghetti alla bolognese” hai ben diritto di indignarti. Anzi, di inorridire. Non esistono gli spaghetti alla bolognese. Non possono esistere. Il ragù bolognese richiede, soprattutto, le tagliatelle. Perché il loro spessore, la loro, liscia, rugosità sono perfette per assorbire il sapore della carne mista, con aggiunta di salsiccia, aromi, battuto di carota, cipolla, sedano, chiodi di garofano e pomodoro (senza eccedere) che è andato a fuoco lento per circa quattro ore. Con aggiunta, finale, di un velo di latte intero. E tu questa delizia la vorresti riversare sugli spaghetti? Che non la assorbono, ne restano solo vagamente unticci, e subito scivola via.. Un barbaro, un incivile, ecco quello che sei…
La pasta, nei suoi vari formati, è tradizione. Anzi, tradizioni. Perché la pasta è legata alla terra. Ad una particolare terra. Ne è espressione. Ne racchiude il mistero.
Non per nulla viene dal grano. E il grano era, per i Romani, il dono di Cerere. Ceres latina, Keris per gli altri popoli Italici. Il cui culto è attestato già nel Tempio arcaico dei Dodici Altari di Lavinio. Che la tradizione vuole fondato da Enea stesso.
E Cerere viene rappresentata con la fronte coronata di spighe di grano. Il suo culto italico era misterico. Non per nulla fu facilmente assimilato a quello della greca Demetra. Dea dei sacri Misteri di Eleusi. I Misteri più sacri del Mediterraneo.
La pasta viene dal grano. Come il pane. E, come il pane, è il fondamento della nostra cultura. Quando sento qualcuno sproloquiare, senza fondamento, sull’origine cinese della pasta, o meglio degli spaghetti, mi rendo conto di quanto sia falsificante, e ignorante, certa “informazione” oggi diffusa. La Cina fonda la sua cultura originaria sul riso. Cereale, certo, ma altra cosa. La pasta, la nostra pastasciutta, la hanno inventata i romani. O meglio, i cucinieri delle flotte romane. Che avevano bisogno di qualcosa che non diventasse ammuffito durante i viaggi per mare. Come avveniva per il pane. Non ne conosciamo la forma. Probabilmente delle specie di lasagne. Che venivano bollite. E condite con olio e, forse, cacio. Per i ricchi, e raffinati patrizi, che presto ne divennero ghiotti, con lo zafferano. O il, prezioso, Garum. La salsa agrodolce di pesce, un colato nero come la pece.
Cerere e Tellus erano sempre associate. Così ci dice Ovidio nei Fasti. E la pasta è, appunto, legata alla terra. Le sue varietà, soprattutto quelle tradizionali e più antiche, rappresentano le diversità dell’Italia. Il suo essere non un monolite, bensì un complesso e variopinto mosaico.
Il fusillo napoletano, che la mia nonna paterna cavava, con incredibile rapidità manuale, arrotolandoli con un ferro da ombrello tutto attorno. Serbava il profumo dell’aspra terra dell’alto Cilento, colline franose ove si abbarbicavano paesini fuori dal tempo. E dove, nell’ombra innevata degli Alburni, si erano per millenni mescolate e fuse genti diverse. I duri Lucani e i greci giunti dalla costa. Normanni scesi dalle loro lunghe navi, albanesi in fuga di fronte all’avanzata turca…
E le larghe lasagne per il pasticcio, che la bisnonna insubre tirava paziente sul grande tavolo di marmo della cucina, avevano il sapore dei boschi in primavera. E il profumo dei grandi laghi.
E potrei continuare…
La pasta si fa col grano. Oddio, oggi sono entrati di moda altri cereali. Dietetici. Salutari. Poi magari le stesse persone, così preoccupate da un piatto di spaghetti, portano i figli da McDonald’s. O, peggio, li fanno inoculare con strani intrugli perché lo dice la televisione. E per salvare i nonni (sic!).
Comunque la vera pasta è di grano. E su questo non è ammessa discussione. Al massimo si può ragionare sulla pasta all’uovo. Che ne è gustosa variante.
E il grano in Italia si è sempre prodotto. Coltivato. Ma, a quanto sembra, non in quantità bastante ai nostri consumi. Storia vecchia anche questa. L’Annona di Roma dipendeva in gran parte dalle navi che venivano dall’Egitto. O dalla Sicilia. O dalla Colchide ricca d’oro. Ovvero il Caucaso. E l’oro del mito di Giasone era, in sostanza, proprio la distesa di messi al Sole.
Oggi arriva da più lontano il grano. Dalla Russia. Dall’Ucraina soprattutto. E, appunto, nei supermercati il prezzo di un pacco di rigatoni si è già più che raddoppiato. C’è la guerra. Il blocco navale del Mar Nero…
Già… Però, scusate… perché si moltiplica il prezzo se, sul pacco di pasta, ci sta scritto a caratteri cubitali: GRANO ITALIANO AL 100%?
E anche se questo avesse una qualche giustificazione nelle, tortuose, dinamiche del mercato, mi sorge un’altra domanda. Capziosa. Ma in Ucraina e Russia si miete a febbraio? Mi sembrerebbe strano, con i campi coperti di neve… Quindi, quello che viene usato dai pastifici nostrani è ancora quello della scorsa estate. Comprato a prezzo vecchio…
Una piccola speculazione? Al governo italiano sembra cosa normale. Un ministro lo avrebbe anche detto. Ma parlare costa poco, appunto…
E poi Draghi e compari sono in linea con le direttive di Bruxelles. Bisogna promuovere la nuova alimentazione. Salubre e salutare. Farina di scarafaggi e simili…
Comunque una piccola chiosa. A Roma, quella vera, chi speculava sulla Annona, sul prezzo del grano, veniva condannato a morte… Era reato gravissimo. Contro gli uomini. E anche contro gli Dei…
Basta così. L’acqua bolle e devo buttare gli spaghetti. Finché si può, meglio approfittarne…