La vicenda del rifiuto opposto da parte del Governo a rendere pubblici i dossier del colonnello Giovannone che riguardano le stragi del 1980 ha avuto un seguito.
La signora Giuliana Cavazza, presidente onoraria dell’associazione “Verità per Ustica”, ha deciso di ricorrere al TAR. Non è soddisfatta delle giustificazioni opposte da Palazzo Chigi alle sue richieste.
Ciò ha permesso anche a noi, comuni mortali, di conoscere alcuni stralci della lettera con la quale le veniva negato l’accesso ai documenti. “L’esigenza di giustizia a sostegno della domanda – afferma nella lettera l’attuale capo dei servizi segreti – non è sufficiente che siano semplicemente prospettate, ma è necessario che siano puntualmente individuate”. Il linguaggio tecnico-burocratico nasconde un paradosso: come si può indicare “puntualmente” il contenuto di un documento segreto che si chiede di poter visionare? E infatti la signora Cavazza, ovviamente non convinta della giustificazione, ha deciso di opporsi e di ricorrere al Tribunale Amministrativo.
La notizia è stata puntualmente ripresa da Francesco Grignetti del quotidiano La Stampa, il quale ha deciso di scavare un po’ più a fondo. È così emerso che il 2 luglio scorso il consiglio di presidenza del Senato aveva chiesto all’unanimità di rendere accessibili tutti gli atti della commissioni di inchiesta fino al 2001. I componenti del COPASIR hanno letto quelle carte e sono convinti che contengano verità fondamentali per meglio comprendere non solo i retroscena delle stragi di Bologna e di Ustica ma persino del delitto di Aldo Moro. Ma dopo averle lette sono stati vincolati al segreto. Per cui sanno, ma non possono parlare.
Uno di loro, tuttavia, un poco si è sbottonato. Si tratta dell’ex ministro Giuseppe Fioroni, che fu anche presidente della commissione d’inchiesta sul caso Moro; il quale ha rilasciato una “interessante” intervista allo stesso Grignetti.
Innanzitutto Fioroni afferma che nelle carte classificate top secret vi è “molto di più” riguardo al periodo “che va dal 1978 alla metà degli anni ‘80”. In quei documenti “c’è un pezzo di storia italiana: i rapporti con il Medio Oriente in senso lato”. Alla domanda “quindi ci muoviamo su un crinale scivoloso” l’esponente PD risponde “un crinale da galera”. Più avanti Fioroni lascia intendere, senza affermarlo in modo esplicito, che in quegli anni l’Italia fornisse armi e munizioni ai palestinesi attraverso un complesso intrico di relazioni internazionali che comprendevano ditte italiane, la Libia, l’Egitto, i movimenti palestinesi e… le Brigate Rosse. Giovanardi ne è convinto dal momento che le munizioni usate nell’attentato di via Fani erano prodotte dalla ditta Fiocchi ma destinate al mercato estero.
Ma allora per quale motivo, a distanza di quarant’anni, non si può ancora fare chiarezza su quelle vicende? La risposta è sorprendente: “Va capito che siamo al centro di decisioni inquadrate negli Anni Settanta, ma con un riverbero sugli assetti dei rapporti internazionali attuali”. In altre parole: la faccenda non è morta e sepolta ma allunga ancora i suoi tentacoli fino ai giorni nostri.
Infine l’ex parlamentare difende l’operato della commissione di cui fece parte e conclude così “la nostra commissione ha lavorato senza spirito di tifoseria: questo ci ha permesso di fare passi avanti significativi verso un’Italia che non avesse catene che la tengono ancorata al Novecento”. Un’affermazione perlomeno sibillina. Di quali catene si parla? Quali sono i rapporti inconfessabili che il Governo continua a tenere nascosti? Quanti e quali sono gli scheletri nell’armadio della politica che forse non conosceremo mai?