Si parla usualmente dei cani da guardia del potere per definire intellettuali aggressivi e ringhianti che tengono a bada, con zanne scoperte, i padroni che li accudiscono e li saziano.
Recalcati, no. Lui non digrigna i denti, non ulula, non abbaia, nella sua espressione vocale e linguistica sembra guaire quando il padrone viene messo in difficoltà, o quanto meno in discussione.
Un suo intervento a proposito dell’ormai inflazionata questione del Green Pass ha raggiunto un livello di sudditanza al potere che ritenevo – nella mia ingenuità – impossibile.
Non si è accanito – secondo l’ormai sperimentato stile di Galimberti – contro i dissidenti, facendo diagnosi di pazzia o additandoli quali criminali della società, ma ha uggiolato verso il populismo antiistituzionale.
Con atteggiamento mellifluo ha avvertito che il populismo è, per sua interiore mancanza, contrario alla scienza e allo Stato: perché non capisce, perché non ci arriva, perché è povero di strumenti cognitivi.
Ha scodinzolato per attirare l’attenzione su come le istituzioni siano fondamentali per l’uomo, che altrimenti sarebbe un nulla sospeso nel vuoto, come lo è il becero populismo.
Perché il populismo è contrario alla scienza, quindi alle competenze, avendo – per mancanza delle stesse – una implicita dose di invidia e di gelosia.
Eh, certo, Recalcati, sapesse quale invidia per gli epidemiologici de’ noartri che sono costretti a chiedere il silenziamento degli scienziati e la loro esclusione nei dibattiti perché, come ha detto un innominabile, è sconveniente accettare certi “pollai”. Gli altri sarebbero pollastri, mentre loro che si spacciano per galli, sono solo capponi travestiti.
E poi, Recalcati, le competenze. Quale scivolone per il nostro chihuahua mannaro. Non immagina neppure quale geloso rosicchiamento interiore per le capacità acclarate di Di Maio, di Speranza, dell’Azzolina, della Fedeli, della Gelmini: un panteon di intelligenze sprecate e di cultura scialacquata per istruire l’irriconoscente plebe populista.
Almeno una cosa è andata, per ora, nel verso giusto.
Il profeta della psiche, il decifratore dell’inconscio, l’oracolo della psico(b)analisi, per attingere alla satira di Crozza, non è arrivato a confermare la diagnosi di “sovranismo psichico” descritta nel 52° rapporto del Censis del 2018 e – udite, udite! – addirittura inserita nella Treccani.
Così gli ho dato uno spunto interiore per il prossimo intervento: patologizzare ulteriormente le voci non allineate e offrirsi a buon prezzo come normalizzatore del dettato istituzionale.
Ho solo, in questo caso, il rimpianto del tempo sanguinario di Fouquier de Tinville: almeno questo ti onorava della ghigliottina, mentre gli odierni pubblici ministeri del mainstream vogliono disonorarti con la diagnosi. Loro, gli ingannatori della mistica basagliana e della libertà terapeutica!