Il Consiglio Ue ha dato il via libera al Recovery Fund: 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi di sussidi. All’l’Italia andranno 209 miliardi, di cui 127 di prestiti e il resto (81 mld) a fondo perduto. La sfida più importante, per il nostro Paese, inizia adesso: serve delineare un piano di investimenti convincente (per la Ue) ed efficace per uscire dalla crisi economica causata dalla pandemia.
L’obiettivo sarà colmare quel gap di innovazione, digitalizzazione e investimenti che separa l’Italia da altri Paesi europei. Dalla gestione di servizi essenziali, come quelli della pubblica amministrazione e della sanità, alla possibilità di spostare in remoto le principali attività lavorative del Paese, passando per i primi esperimenti di contact tracing, del resto, è apparso chiaro fin da subito che il digitale, in tutte le sue forme, potesse avere un ruolo chiave nella gestione dell’emergenza sanitaria.
Se il lockdown e le misure restrittive anti-contagio hanno cambiato le abitudini e soprattutto i bisogni digitali dei più, si è cominciato a temere, cioè, che l’emergenza COVID-19 potesse inasprire o riaccentuare il divario digitale tra paesi, tra zone geograficamente diverse dello stesso paese, tra fette diverse della popolazione.
Nella bozza delle “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza” si definiscono gli obiettivi che il governo intende raggiungere con i 209 miliardi del Next Generation Eu. Quelle che vengono definite le aree di intervento sono: digitalizzazione e innovazione; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione e formazione; equità, inclusione sociale e territoriale; salute.
Ne uscirà un’Italia diversa e più moderna con un raddoppio del tasso di crescita e 10 punti in più del tasso di occupazione. Sono chiare le parole del ministro degli Affari europei Enzo Amendola: “È fondamentale la digitalizzazione della pubblica amministrazione”. E aggiunge: “Negli anni 60 il boom ebbe come simbolo l’autostrada del Sole, oggi l’autostrada del Sole dev’essere digitale, di cui va rifatto il disegno: va di nuovo unito il Paese, con più servizi per cittadini e imprese. Va ribaltato il rapporto fra Stato e cittadini. Gli imprenditori, le persone comuni, non dovranno più rincorrere decine di uffici diversi. Tutti i servizi devono diventare raggiungibili al computer o tramite una sola app. Digitale e ambiente sono i due pilastri dell’intero progetto”.
L’Italia è agli ultimi posti in Europa per accesso ad Internet, un divario digitale che deve assolutamente essere azzerato il prima possibile. Per affrontare la sfida della rivoluzione digitale, infatti, è indispensabile garantire a tutti i cittadini la parità di accesso alle telecomunicazioni, una precondizione che ora manca in intere parti del nostro territorio. Con il piano Italia del Recovery Fund dovranno essere dunque attivati investimenti straordinari per la digitalizzazione e l’innovazione, il completamento della rete nazionale in fibra ottica e l’ informatizzazione della pubblica amministrazione e dell’istruzione.
Il ricorso alle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazioni (ICT) rende più efficiente l’attività dell’amministrazione sia nel back office, ossia l’attività interna della Pubblica Amministrazione, che nel front office, ovvero nella relazione con il pubblico. L’amministrazione grazie agli strumenti ICT può ricercare documenti in maniera più rapida, accedere direttamente agli atti di altri uffici, trasmettere e ricevere dati in tempo reale. L’ente amministrativo può quindi esercitare le proprie funzioni istituzionali in meno tempo e con costi minori. Inoltre, il cittadino può avere le informazioni in tempo reale con una connessione ad Internet. Il pieno utilizzo delle tecnologie digitali non è tuttavia possibile senza rafforzare infrastrutture di comunicazione e connettività della rete, per questo la banda ultralarga sarà una leva importante per la ripartenza. importante: il diritto di accesso universale come principio in grado di garantire una reale inclusione sociale digitale.
Tale innovazione richiede un forte impatto sul fronte delle competenze, altro tema su cui si concentra un annoso divario. Le PMI infatti devono imparare la nuova grammatica dell’innovazione, esigendo servizi digitali e, allo stesso tempo, investendo in proprio nella digitalizzazione dei propri meccanismi produttivi.
In un momento in cui c’è bisogno di una trasformazione tecnologica rapida e radicale, da un lato emerge la necessità di avere delle competenze tecniche trasversali e specialistiche da rafforzare, mediante percorsi di formazione 4.0, dall’altro sono ancora più critici i passi da compiere sul fronte del capitale umano. L’Italia si colloca infatti al 26° posto fra gli Stati membri dell’Ue secondo l’ultimo indice Desi. Solo il 44% degli individui tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (57% nell’Ue).
L’emergenza sanitaria ha evidenziato come il flusso di traffico senza precedenti, sostenuto dalle reti di comunicazione elettronica, richieda di creare infrastrutture pronte per le prossime sfide con l’auspicio che quanto vissuto possa rappresentare il punto di svolta per una conversione digitale definitiva e una ripresa realmente inclusiva e sostenibile. Dobbiamo fare tesoro ed essere consapevoli del fatto che i recenti eventi hanno avuto il merito di innescare una nuova percezione della quotidianità. Un processo impensabile fino a qualche mese fa, che è invece qui per restare. Ed è questo che ci fa pensare con ottimismo che la svolta digitale, attesa da tempo, sarà finalmente quella decisiva.
Gli imprenditori reputano il digitale sempre più utile e necessario, ma che ancora troppo spesso viene limitato soltanto alla presenza sui social e all’e-commerce.
Ma c’è ancora un gap da colmare. Il 36% delle imprese dichiara comunque di non avere un sito web e di utilizzare principalmente i social per promuovere la propria attività (89%). Una grave carenza sia per gli imprenditori che per i collaboratori.
Alcune innovazioni richiedono soprattutto un costo politico: rinnovamento della pubblica amministrazione, smaltimento dei processi civili arretrati, contrasto all’evasione fiscale. Riformare ciascuno di questi ambiti significa incidere su interessi consolidati; per farlo è necessario un governo stabile e che goda di ampio consenso nel Paese.
La più grande lezione da imparare da pubblica amministrazione e coronavirus, è che per ogni cittadino in più che non ha accesso a Internet, non ha a disposizione un device tecnologico personale o non ha le competenze digitali giuste per fruire al meglio dei servizi pubblici online, non può che allontanarsi l’orizzonte di una pubblica amministrazione solo digitale.