Il tentativo di attacco al Cremlino, con l’utilizzo di Droni da parte dell’Ucraina, può venire letto in molti modi. I grandi Media occidentali, in genere abbastanza (se non totalmente) proni alla vulgata cara a Washington e Kiev, vi vogliono leggere una qualche fragilità delle difese russe. E gongolano al pensiero che lo stesso Putin, nel suo Sancta Sanctorum inviolabile, possa venire colpito da un attentato dei suoi nemici.
Altri osservatori occidentali, piu distaccati (e obiettivi) vi vedono, invece un gesto disperato di Zelensky, ormai a corto di uomini e (se mai ne ha avute) di idee. Un gesto volto a coprire la sostanziale incapacità delle forze di Kiev di scatenare la grande offensiva di primavera. Strombazzata da mesi, e ormai attesa dai partner occidentali come una conditio sine qua non per continuare a rischiare miliardi sul tavolo del signor Zelensky.
Offensiva che, in realtà, si sta traducendo soprattutto in, poche, incursioni e in una pletora di attentati ed azioni terroristiche. Delle quali quella diretta contro lo stesso Putin (e, naturalmente, fallita) è solo l’episodio più clamoroso.
Ma proprio qui sta il nocciolo del problema. Checché si creda, anche la guerra ha le sue regole. O meglio, ogni guerra ha le sue. Non scritte, in genere. Ma ben chiare. E, ovviamente, non sto parlando della, famosa, Convenzione di Ginevra e simili ludi cartacei. Che tutti invocano quando fa loro comodo. E nessuno rispetta.
Parlo di altre regole. Quelle che, tacitamente accettate da ambo le parti, impediscono che un conflitto degeneri in guerra totale. In distruzione e massacri indiscriminati.
Ora, il conflitto in corso, che non a caso Mosca definisce “Operazione speciale”, è nato con un preciso, e delimitato teatro di operazioni. Il, conteso, Donbass. E il Cremlino, pur avendone i mezzi, ha cercato in tutti i modi di limitarlo a quell’area. Conscio del rischio che un suo dilatarsi potrebbe portare allo scontro frontale con la NATO. Con tutte le implicazioni del caso. Guerra nucleare compresa.
Sull’altra sponda, a dire il vero, tale preoccupazione è sempre sembrata meno… viva. E questo ha comportato azioni che hanno provocato, inevitabili, rappresaglie russe. Che hanno colpito centri nevralgici di comando e depositi di armi, nonché centrali elettriche, all’interno del territorio ucraino. Senza, però, mai spingersi oltre un certo limite. Perché è indubitabile che Mosca, se avesse solo voluto, avrebbe potuto, col dominio oggettivo dei cieli, radere al suolo Kiev e Leopoli. Né gettato diserbante sui campi di grano, come facevano gli USA in Vietnam. Rendendo il paese un deserto.
Però, ora, l’escalation delle azioni terroristiche ucraine potrebbe (il condizionale è, ovviamente, d’obbligo) provocare una reazione di ben altra portata. E potenza. Come già ventilato da più di un esponente della Russia. In primis il presidente della Duma.
La prospettiva è che il Cremlino dichiari ufficialmente che Zelensky e i suoi sono terroristi. E, quindi, che l’Ucraina va trattata come sono state trattate l’Isis e Al Quaeda. Con tutto ciò che questo comporterebbe sul piano dell’azione militare.
Ora, la domanda che sorge spontanea non può che essere una. Zelensky potrà anche essere un pazzo, disposto a portare alla distruzione l’intera Ucraina. Ma i suoi sostenitori occidentali? La NATO? Washington soprattutto? Mi rifiuto di credere che non siano coscienti di tali implicazioni. E allora? Cosa intendono fare? Potrebbero sostituire Zelensky e i suoi con esponenti politici meno compromessi – e meno corrotti – in modo da ritessere una qualche relazione con la Russia. Pronuba di una tregua, se non proprio della pace.
Ma non sembra che intendano farlo.
Perché?
Domanda che risuona pesante nel vuoto di queste ore.