“Nessuno stabilimento chiuderà”. Fca dixit. Dunque si può stare tranquilli in vista della fusione tra Renault e Fca, forse allargata a Nissan e Mitsubishi? Mica tanto.
Perché una promessa analoga si era già sentita quando Fiat, con denaro pubblico, aveva annunciato l’apertura dei nuovi stabilimenti al Sud: “Sono aggiuntivi, non sostitutivi”. Ovviamente tutti i giornali avevano fatto finta di credere alle promesse. Risultato: chiuso il Lingotto, chiuso Chivasso, chiuso Rivalta.
Vatti a fidare di Fiat. Questa volta qualche dubbio attraversa persino i sindacati. Non tutti, ovviamente. Però Landini, segretario della Cgil, chiede di chiarire se le fabbriche italiane che non chiuderanno manterranno la medesima occupazione attuale. Che, poi, occupazione è una parola eccessiva, considerando il continuo ricorso alla cassa integrazione.
I dubbi, d’altronde, sono più che leciti sotto ogni aspetto dell’operazione. Inizialmente si era fatto trapelare che si trattasse di un’operazione globale che avrebbe portato alla creazione del primo gruppo mondiale. Dunque non soltanto Renault, Dacia e Lada, ma anche Nissan e Mitsubishi. Poi, però, si è scoperto che i giapponesi non rientravano nell’accordo. E questo spiega perché si potesse ipotizzare una nuova società paritetica tra Fca e Renault.
Il gruppo francese, che ha lo Stato come primo azionista con il 15%, controlla il 43% di Nissan (che a sua volta detiene una quota di Renault analoga a quella dello Stato, solo uno 0,1% in meno) e dal colosso nipponico ha ereditato le piattaforme elettriche che fanno gola a Fca in vergognoso ritardo sul fronte delle vetture non inquinanti.
In teoria, in attesa delle decisioni giapponesi, si può prospettare un gruppo europeo in cui a Fca venga assegnata la presidenza (che conta poco o nulla) mentre la gestione sarebbe affidata ai francesi. Dunque sarebbe Renault a decidere il futuro degli stabilimenti italiani. Ormai ridotti ad un elemento marginale nello scenario globale. Lo scorso anno, escludendo i furgoni, le fabbriche italiane hanno prodotto complessivamente meno vetture di quelle fabbricate dal solo stabilimento Seat di Barcellona.
Allora appare eccessivo l’entusiasmo di Salvini di fronte all’annuncio della trattativa per la fusione. Perché il rischio è che gli unici a beneficiare dell’accordo siano gli azionisti, a partire dalla famiglia Elkann.