L’occupazione in ogni ambito produce salute mentale, per questo motivo è importante che nelle carceri venga offerta ai detenuti la possibilità di professionalizzarsi, avere un lavoro retribuito, imparare un mestiere, studiare. Sottolineare l’importanza dell’attività lavorativa per l’effettivo reinserimento dei detenuti.
Rimanere nell’inattività, aspettando che il tempo passi senza scopo, non avere nessuna occupazione intellettuale o manuale, non permette di riflettere sulla vita, su se stessi e sulle situazioni che hanno portato a vivere nell’illegalità o ad essere incarcerato.
Già lo scrittore illuminista Cesare Beccaria, nonno di Alessandro Manzoni, pubblicò nel 1764, il saggio “Dei delitti e delle pene”, dove evidenziava il concetto di riabilitazione dei carcerati. Il lavoro all’interno degli istituti penitenziari è importante per i detenuti e può essere utile alla società. Come ad esempio per la produzione di mascherine in un periodo difficile come questo di emergenza sanitaria.
Il Festival dell’Economia Carceraria a Roma, promosso e organizzato da Semi di Libertà Onlus a Roma, ha dato il via a un laboratorio di idee e progetti, per dare un segnale forte sulla riorganizzazione delle attività detentive.
L’iniziativa vuole evidenziare la forza riabilitativa del lavoro, dei corsi di formazione e di istruzione finalizzati a recuperare la dignità dei detenuti. L’idea è quella di apportare modelli di virtù, professionalità e voglia di fare nel sistema penitenziario del nostro Paese.
L’economia carceraria- secondo Paolo Strano, Presidente di Semi di Libertà- ha il potenziale produttivo per contribuire alla crescita del Paese. Perché ogni cosa che viene generata dal carcere è sinonimo di qualità ed ha nella sua anima un valore aggiunto, quello del riscatto sociale e della scommessa su se stesso, è un prodotto di valore e valori.
La riforma del sistema penitenziario è arenata ormai da tempo tra Camera e Senato. Appare allarmante il dato dei suicidi per via dell’affollamento, delle tossicodipendenze e della difficile gestione dei migranti. Proprio per questo Onlus come Semi di Libertà, offrono ai detenuti opportunità di lavoro creative e valide.
Tanti sono gli esempi di detenuti noti che per settimane e mesi, fino alla condanna definitiva, dividendoci tra innocentisti e colpevolisti, hanno resistito sulle prime pagine dei giornali. Diventati famosi senza la loro volontà, vivono oggi la loro reclusione impegnandosi in molteplici attività lavorative.
Alberto Stasi ad esempio, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, è impegnato nella casa di reclusione di Bollate a Milano. Nella struttura penitenziaria opera come centralinista per un call center di una nota compagnia telefonica, che offre opportunità di riscatto a persone che hanno incontrato il carcere.
Nello stesso call center è in formazione Salvatore Parolisi, che è in carcere per l’omicidio della moglie Melania Rea. Sempre nel carcere di Bollate è detenuto Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. L’ex muratore è stato coinvolto nel progetto Second Chance, da un’azienda che rimette a nuovo macchine del caffè espresso ormai rovinate, che in fase di demolizione vengono rigenerate dai detenuti.
Perfino i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all’ergastolo per la strage di Erba, sono detenuti lavoratori. Olindo è impegnato ai fornelli nel centro clinico del carcere di Milano-Opera. Rosa è inserviente nella casa di reclusione di Bollate e crea borse e accessori di cuoio per una cooperativa che sostiene progetti in favore dei bambini in Africa.
Cosima Serrano e Sabina Misseri, condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi, svolgono attività di volontariato per la sartoria del carcere femminile. Lo stesso Angelo Izzo, condannato anche lui all’ergastolo per la strage del Circeo, fa lavori saltuari nel carcere di Velletri.
Veronica Panarello, condannata a 30 anni di reclusione per l’omicidio del figlio Lorys, frequenta nel carcere di Torino un corso per operatori dei servizi sociali.
Michele Buoninconti, condannato a 20 anni per l’omicidio della moglie Elena Ceste, fa il tutor universitario. Coordina altri detenuti-studenti che hanno bisogno di sostegno.
Sicuramente la riabilitazione dei detenuti attraverso l’attività professionale richiede tempi lunghi e un contatto assiduo con i professionisti della riabilitazione psicologica, sociale e lavorativa. Un processo che inizia dentro il carcere ma che poi deve proseguire anche fuori. Perché il fine della carcerazione non è quello del contrappasso dantesco o dei rei condannati, ma quello di restituire alla società persone migliori di quelle che sono entrate nelle carceri.