Sua Divinità Mario Draghi va a visitare i laboratori sotto al Gran Sasso (chissà se avrà cercato il tunnel che, secondo il ministro Gelmini, collega il Gran Sasso con Ginevra?) ed i media di regime si scatenano nell’esaltazione della ricerca italiana. Che lo faccia Sua Divinità è comprensibile, anche se è un falso, perché il capo del governo può raccontare ciò che vuole, pur di nascondere una verità spiacevole. Che lo facciano i media è semplicemente ignobile.
Proviamo, dunque, a recuperare il dato di realtà fornito non dall’oppofinzione – che, come sempre, non si occupa di questioni serie – ma direttamente dal Cnr, il Centro nazionale delle ricerche.
“Per quanto riguarda i Programmi Quadro europei – spiegano al Cnr – il nostro paese contribuisce al bilancio per la ricerca comunitaria con il 12,5%, ma i finanziamenti che ritornano sono pari a solo l’8,7%. Ciò dipende anche dal fatto che i ricercatori in Italia sono meno che nei nostri partner (6 su mille unità di forza lavoro, contro oltre 10 in Francia e Germania). Bisogna però anche aumentare il tasso di successo, specie nel coordinamento delle proposte, che nel nostro paese è pari all’8,6%, mentre per Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi e Belgio si attesta tra il 14 e il 15%”.
Praticamente un disastro, sia in termini numerici sia di qualità del lavoro. Ma, ovviamente, i media di regime sorvolano.
“Solo lo 0,5% della popolazione in età lavorativa in Italia ha il dottorato di ricerca, contro l’1,2 della media dell’Unione. Anche gli iscritti al dottorato sono assai meno che nella media dell’UE: lo 0,14% contro lo 0,28%”. Forse non è chiaro che continuando a puntare sulle braccia dei nuovi schiavi invece che sui cervelli dei giovani italiani non si migliora la qualità del lavoro, non si accresce la competitività industriale, dell’agricoltura e dei servizi
“Il tasso di occupazione dei dottori di ricerca – proseguono al Cnr – è pari al 93,5%, ma meno della metà ritiene di sfruttare pienamente le conoscenze acquisite nel mercato del lavoro. La quota che trova impiego nel settore privato è inferiore al 10% nell’Industria e dell’8% nelle attività professionali, scientifiche e tecniche. In Italia si trovano raramente dottori di ricerca nel settore industriale”. In queste poche righe si concentra la condanna al sistema economico italiano. I privati non vogliono ricercatori perché costano. E nel pubblico va bene se i ricercatori non vengono più utilizzati per fare le fotocopie, ma in ogni caso non vengono valorizzati adeguatamente. Uno spreco assurdo di risorse umane e dei costi sostenuti per lo studio e la formazione.
“Una parte notevole dei nostri studenti svolge il dottorato all’estero. Solamente in Austria, Francia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti ci sono più di 12 mila studenti italiani frequentanti corsi di dottorato. L’Italia ospita studenti da altri paesi in una quota pari al 15,7%, molto inferiore a Paesi Bassi (44,0%), Belgio (41,4), Regno Unito (42,5) e Francia (38,2%). Gli studenti in Italia provengono principalmente da paesi emergenti, i primi tre sono Iran, Cina e India. Molti dottori di ricerca in Italia trovano occupazione all’estero, circa il 13% dopo qualche anno, testimoniando la buona qualità della formazione ricevuta. I settori dove è più forte l’esodo sono proprio le STEM: il 32% nelle Scienze fisiche, il 27% in Scienze matematiche e informatiche, il 19% in Ingegneria industriale e dell’informazione. Non sorprende questa collocazione professionale fuori d’Italia: dopo 6 anni dal conseguimento del titolo, il reddito medio mensile è pari a 1.679 euro in Italia e 2.700 euro all’estero”.
Questa, secondo i media di regime, dovrebbe essere la descrizione di un sistema all’avanguardia in Europa. Di un Paese che vorrebbe conservare, e si illude, l’ottava posizione al mondo come Pil. Evitando accuratamente di pagare i ricercatori Migliori e proseguendo con concorsi di comodo. E poi ci si stupisce se gli “esperti” e gli “scienziati” italiani sono quelli che si esibiscono in tv: più credibili come cantanti, pur pessimi, che come scienziati. D’altronde sono perfettamente in linea con la qualità dell’informazione.
E questo fallimento si ripercuote anche sui brevetti. “La produzione di brevetti continua ad essere al di sotto di paesi come Germania e Francia (4.600 brevetti italiani depositati all’Ufficio Europeo del Brevetto nel 2020, contro i 25.954 della Germania e i 10.554 della Francia)”. Meglio far finta di niente, meglio ignorare i dati ed applaudire Sua Divinità che esalta la ricerca italiana. Continuando a cercare il tunnel per Ginevra.