C’è un percorso di decadimento sia storico che sociologico che unisce l’ideologia comunista all’attuale cascame della sinistra genericamente intesa.
Scriveva Trotskij a proposito de La lotta per un linguaggio colto in La vita è bella: “Il linguaggio scurrile e la volgarità sono un lascito della schiavitù, dell’umiliazione e della mancanza di rispetto per la dignità umana, la propria e quella degli altri”; proseguiva sottolineando come “La rivoluzione è prima di tutto un risveglio della personalità umana nelle masse”; e riferendosi alla cura della propria persona, dell’abbigliamento e della casa avvertiva come: “Davanti a noi sta una battaglia importante: la lotta contro tutte le forme di negligenza, trascuratezza, indifferenza, imprecisione, incuria, mancanza di disciplina individuale, sperpero e spreco”.
Infine, il Commissario del popolo e Comandante dell’Armata Rossa dava il meglio della sua dottrina rivoluzionaria affermando: “Abbiamo un’idea troppo elevata della funzione dell’arte per rifiutarle un’influenza sulle sorti della società”.
Ora, se potessimo fare un esperimento, e sottoporre ad ignare cavie con sufficiente preparazione culturale queste affermazioni senza citare la fonte delle stesse, credo che tutte farebbero riferimento al fascismo o al nazionalsocialismo.
Si intravede, nella esposizione quasi dottrinale di questa visione del mondo e della società, l’idea dello Stato etico, della comunità di destino.
E invece no. Questa impostazione di vita basata sulla disciplina interiore, sul senso del decoro, sull’arte come elevazione e sullo stile composto è indicata da uno dei maggiori capi del bolscevismo, di una delle tre idee che hanno fatto la storia del Novecento. Dopodiché il degrado.
In quella che genericamente e per comodità definiamo ‘destra’ è da rilevare che tale mentalità è rimasta, mentre a sinistra – altrettanto genericamente e per comodità intesa – i princìpi indicati sono stati ampiamente rinnegati.
Col tempo, l’etica comunista alla ricerca educativa dell’uomo nuovo ha lasciato il posto alla deriva giustificazionista dell’uomo deteriorato. Dove ci sia disordine, degrado, abbruttimento, sporcizia, confusione psichica, amoralità e sciatteria, lì, la sinistra antagonista gode.
Ma non solo quella dei centri sociali, dei marciapiedi e degli anfratti dello spaccio, ma anche quella sedicente colta e acculturata che, pur mantenendo una esteriorità piccolo borghese, sublima ogni porcheria in una prospettiva sedicente ‘alternativa’.
Basta leggere un certo Alessandro De Giorgi il quale in Zero tolleranza – Strategie e pratiche della società di controllo – stigmatizza il fatto che “la polizia dovrebbe reprimere quei comportamenti che […] risultino però molesti, fastidiosi, offrendo al cittadino una immagine degradata della città: i graffiti nelle metropolitane, la richiesta aggressiva di elemosina, l’insistenza di chi lava i vetri ai semafori, la prostituzione di strada, l’ubriachezza in luoghi pubblici, la presenza di homeless per le strade e così via”.
Entusiasmante vedere i marmi e le cabine imbrattate da schifezze colorate, i rompicoglioni questuanti, i magnaccia che si contendono i marciapiedi per le proprie puttane, i traballanti che vomitano negli angoli delle vie e i barboni che occupano gli atri dei condomini.
Entusiasmante per chi non concepisce il concetto classico del bello sintonizzato con il buono.
Un dato è certo: la sinistra è in fase terminale, ma la ripulitura del degrado morale e spirituale che ha determinato sarà più dura da ottenere.