Ripartire dai Borghi? Probabilmente è l’unica chance rimasta davvero all’Italia. Certo, è una prospettiva che non piace alle multinazionali americane, non piace agli immigrazionisti, non piace agli europeisti incapaci di comprendere le radici dell’Europa, non piace alle destre sovraniste che sono rimaste ferme al modello di centralismo imposto dalla rivoluzione francese. E non piace alla sinistra cosmopolita.
Eppure l’Arsenale delle idee ha lanciato una provocazione in tal senso, partendo da un libro, Borgo Italia, pubblicato da Eclettica Edizioni.

Che la prospettiva non piaccia agli immigrazionisti è normale. Recuperare i borghi, invertire il processo di spopolamento dei piccoli paesi sulle Alpi, sugli Appennini, sulle colline ed anche nelle poche pianure significa cambiare radicalmente la mentalità italiana, rinunciando allo sfruttamento di masse di schiavi fatti sbarcare con la complicità delle istituzioni. Altrettanto comprensibile il fastidio per la sinistra cosmopolita che ama solo le grandi città, che non ha radici, che considera il territorio extra urbano come un giardino disabitato da utilizzare per il proprio sollazzo nei fine settimana.
E per le multinazionali si tratta di rinunciare a consumatori standardizzati, abituati a consumare ciò che viene deciso nei palazzi di aziende che producono cibo spazzatura, abbigliamento spazzatura, oggetti spazzatura.

Sino a qui è tutto chiaro. Ma poi subentrano le ostilità di quegli europeisti ottusi convinti che l’Europa si costruisca attorno a burocrati ancor più stupidi. E che ad unire i popoli siano le direttive per il vino senza uva, per il cioccolato senza cacao, a favore del consumo alimentare di farina di vermi. Così ottusi e così ignoranti da non rendersi conto che l’Europa può esistere solo se recupera le sue radici pre indoeuropee sarde, alpine e pirenaiche; greche, celtiche, romane, germaniche. E poi la cultura di Venezia e Firenze, delle repubbliche marinare e della Lega anseatica, dell’Occitania e della Catalogna, della Bretagna e delle Fiandre.
Un recupero che spaventa le destre giacobine, quelle dei prefetti, degli ordini calati dall’alto di capitali corrotte, sporche, violente ed imputridite. Le destre che ignorano il Rinascimento, i feudi ed i Comuni, ossia i periodi in cui fu massima la produzione culturale in tutta la Penisola. Con re, duchi, principi ed imperatori stranieri, in arrivo da ogni parte d’Europa. Ma con scrittori, poeti, musicisti, pittori, scultori, architetti, filosofi rigorosamente italiani. Un’Italia in cui si conversava in provenzale e siciliano, in veneziano e genovese, in napoletano ed in romano, in fiorentino e in sardo. Eppure, o forse proprio per questo, si creava qualcosa di immortale.

Vale per l’Italia, ma anche per la penisola iberica, per la Germania, per la Francia ed il Belgio, vale per l’Europa dell’Est. Restituire dignità alle infinite piccole patrie europee significa creare, finalmente, l’Europa che abbia uno spirito ed un cervello, non solo una burocrazia stupida ed arrogante.