“Ripartire dalle sezioni”. Enrico Letta lancia la parola d’ordine, scatenando ondate di entusiasmo in tutti i combattenti e reduci della politica del tempo che fu. Non solo tra i piddini nostalgici delle salsicce alla Festa dell’Unità o delle riunioni catacombali dell’Azione cattolica. Ma anche tra gli ex missini che rimpiangono le sedi con il ritratto di Lui, tra gli ex socialisti confluiti in Fi che ricordano pranzi e cene all’uscita dalle riunioni.

Che tempi, quelli! Senza scomodare il Califfo e Mimì con “La nevicata del 56”. Tempi di scuole di partito e di dibattiti che sfociavano in liti furibonde. Di ciclostili e manifesti, ma anche di Manifesto ed espulsioni. Di analisi, di studi, di associazioni culturali più o meno parallele. Sì, sì: tutto bello. Ma tutto finito, lontano.
Se anche qualche sezione è sopravvissuta, da cosa si riparte, in pratica? Dai corsi di formazione al Tressette o alla Briscola? Dall’aggiornamento per l’utilizzo del Pc inteso come personal computer e non come partito comunista? Dalla scuola di partito dedicata alla gestione dei fondi di Next Generation o alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani? Tutto utile, certo. Per amministrare, non per governare e tanto meno per far politica.

Illuminante, al proposito, una intervista comparsa su Lo Spiffero ad un intelligente esponente del Pd. Perché il politico si augura che, con Letta, si possano far rientrare tutti i dissidenti usciti con le scissioni. Dunque un partito liberal-democratico ma anche socialcomunista, ambientalista ed industrialista. L’importante è che sia filo americano ed europeista.
Proprio come il nuovo corso di Lega e Forza Italia. E infatti l’esponente piddino ammette che sarà importante battere la concorrenza salviniana dimostrando di essere più europeisti di lui. Si dimentica di dire anche più al servizio degli Usa, ma è solo una dimenticanza.
Ma è su questi punti che si dovrebbe ripartire dalle sezioni? Una concorrenza basata sul marketing poiché le idee non esistono più. Un’ammucchiata priva di ideali, attenta solo al contingente. Come ad un concorso a premi. Dalle sezioni usciranno militonti che dovranno dimostrarsi migliori degli avversari nella conoscenza dell’inglese (altre lingue non sono previste per non creare nuove correnti), nella capacità di acquistare solo prodotti americani.
Non proprio Alta Politica. Partiti tutti uguali, con sezioni tutte uguali, con programmi tutti uguali.
Giusto così. Molto meno faticoso, assolutamente non rischioso.

Però si aprono intere praterie per chi crede che la politica non sia solo scegliere il fornitore delle lampadine per l’illuminazione del proprio paesino. Per chi crede che in una sezione si possa discutere di idee, di visioni del mondo, di sogni e di utopie. E di come cambiare un mondo che non funziona più. Perché l’importante non era la piadina romagnola o le costine arrostite più o meno bene. L’importante erano le idee espresse mentre si addentava la salsiccia, o dopo il saluto al ritratto di Lui, o mentre a cena si trincava Barbera.
Le idee, i programmi, i sogni: questo erano le sezioni. Anche le risse. Ma era vita. Non alchimia di formule per garantire uno strapuntino per ogni esponente di corrente minoritaria.