Dopo l’Africa del Nord Ovest, ora le nubi si fanno sempre più dense nei cieli di quella Centrale. Che si trova schiacciata fra la rivolta anti-francese del Niger, del Mali e del Burkina Faso, e la guerra civile che, ormai da anni, tormenta il Sudan.
Osservato speciale il Ciad. Compresso fra il conflitto latente in Niger, e quello nel Sudan. Che ha provocato l’arrivo di masse di profughi tali da mettere in discussione la già precaria stabilità del paese.
Si calcola che dal 2007 in Ciad abbiano trovato rifugio quasi un milione di sudanesi. Un numero in costante aumento, visto il rinfocolarsi del conflitto civile fra fazioni.
E questi numeri, in un paese di più o meno undici milioni e mezzo di abitanti, possono di per se stessi costituire una massa critica.
Il Ciad è retto da una giunta militare di “transizione” guidata dal generale Debrè. La cui famiglia governa sin dal 1990. Uno stretto alleato della Francia. Che esercita la sua influenza sul Ciad attraverso la moneta coloniale, e con un controllo dell’export delle risorse prodotte. In primo luogo petrolio, e poi cotone.
Resta uno dei paesi più poveri dei mondo. Con oltre il 50% degli abitanti sotto la soglia di povertà, e quasi il 30 sotto quella di denutrizione.
Tuttavia è un paese importante, soprattutto dal punto di vista geopolitico.
Tant’è che la Libia di Gheddafi lo ha a lungo conteso alla Francia. Anche con interventi militari. Soprattutto, però, esercitando una crescente influenza culturale (e politica) sulle popolazioni musulmane del nord. Storicamente contrapposte a quelle, prevalentemente cristiane, del Sud, che sono sempre state più legate ai colonialisti francesi.
Gheddafi era, comunque, riuscito a dare una qualche stabilità ad un paese estremamente composito per etnie e lingue. Alla sua scomparsa, le tensioni interne sono riesplose. Aggravate dal contesto geografico.
Oggi, il presidente ciadiano, il generale Debrè, sembra spendersi molto per evitare la guerra in Niger. E decantare la tensione che contrappone la Nigeria e gli altri paese dell’ECOWAS rimasti fedeli alla Francia, alla nuova coalizione che si staglia dietro la giunta golpista di Niamey. Burkina Faso e Mali, che ha già deciso di trasferire truppe in territorio nigerino.
Questo mentre Parigi sembra costretta a ritirare la forza di 1500 uomini presente in Niger. Un ritiro che, però, non rappresenta segnale di pace. Piuttosto il contrario. Visto che i venti di guerra sembrano soffiare sempre più violenti sull’Africa Nord Occidentale. E un po’ in tutta la cintura del Sahel.
In caso, sempre più probabile, di conflitto, il Ciad di troverebbe in una posizione estremamente difficile. Non fa parte dell’ECOWAS, ma è strettamente legato alla Francia. E agli Stati Uniti, con i quali coopera nella lotta contro i jihadisti di Boko Haram.
Il suo coinvolgimento sarebbe, praticamente, inevitabile. Ma questo esporrebbe il regime di Debrè – il cui padre è stato assassinato nel 2021 in un tentativo di golpe – al rischio di rivolte interne. O di una vera e propria guerra civile. Scatenata non tanto dai movimenti jihadisti, pur presenti e operativi, quanto da insanabili conflitti tribali.
Se questo dovesse accadere, tutta l’Africa sub-sahariana diverrebbe un unico incendio. Dal Nord Ovest sino al Corno d’Africa.
Minacciando gli stessi, già precari, equilibri geopolitici mondiali.