Un nuovo focolaio del virus ebola a Mbandaka, città che sorge sulle rive del Fiume Congo a 130 chilometri dall’epicentro dell’epidemia, sta nuovamente costituendo un’emergenza internazionale. Almeno 20 persone sono morte per febbre emorragica lo scorso aprile.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ammesso che le prime morti sospette risalgono a gennaio e che quindi il virus ha avuto cinque mesi di tempo per potersi diffondere. L’OMS ha messo a disposizione fondi dal suo bilancio per i prossimi tre mesi per contenere la diffusione del virus.
Il virus Ebola provoca una malattia acuta e grave che è fatale se non trattata. Ebola è apparsa per la prima volta nel 1976 in un villaggio remoto sul fiume Ebola e da questo luogo prende il nome la malattia. Ma la più grande epidemia di Ebola è avvenuta tra il 2014 e il 2016 e più di 11.000 persone sono morte in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Le autorità del Congo sono consapevoli che dovranno agire rapidamente per contenere il virus con lo scopo di evitare che si diffonda in altre aree più popolate.
L’unica arma che i sanitari possono utilizzare è un vaccino sperimentale per l’Ebola che, secondo i risultati pubblicati sulla rivista The Lancet nel 2016, è risultato altamente protettivo contro il virus. I risultati degli ultimi test condotti in Guinea e in Sierra Leone sono stati definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità efficaci: infatti in media a 10 giorni dalla malattia nessuna persona a rischio infezione ha sviluppato i letali sintomi di Ebola.
Il vaccino si chiama rVSV-ZEBOV ed è stato messo a punto dall’azienda farmaceutica statunitense Merck Sharp & Dohme che dopo aver ricevuto 5 milioni di dollari di fondi da Gavi, un’organizzazione internazionale che raccoglie denaro per finanziare progetti legati allo sviluppo e alla diffusione dei vaccini l’ha sperimentato con successo su 6000 persone. Mercoledì 16 maggio sono arrivate in Congo 5400 dosi di vaccino e Medici Senza Frontiere supporterà il Ministero della salute africano nella somministrazione delle dosi.
La malattia si diffonde tra gli esseri umani con il contatto diretto con i liquidi corporei di una persona malata o morta di Ebola, ma può anche diffondersi attraverso il contatto con liquidi corporei di primati o pipistrelli infetti attraverso il bush-meat, cioè il consumo di carne infetta proveniente da questi animali selvatici. La penetrazione nelle foreste da parte di compagnie minerarie e del legname ha spinto sempre di più gli abitanti dei villaggi a nutrirsi del bush-meat con la conseguente rapida diffusione del virus.
Per la Repubblica Democratica del Congo questa è la nona epidemia, ma il direttore generale per la preparazione e la risposta alle emergenze dell’OMS, Peter Salama, rassicura che si stanno prendendo azioni decisive per fermare il focolaio.
Il rischio che un malato di Ebola raggiunga l’Italia è circa il 5-10%. L’Italia non è tra i primi posti a rischio ma è nella lista dei primi 20 paesi. Il rischio sale al 20% nei paesi che hanno collegamenti aerei diretti con i paesi africani dove è in corso l’epidemia, come Inghilterra, Francia e Belgio.
Secondo gli esperti bloccare i voli serve solo a ritardare un’eventuale importazione dell’epidemia e rappresenta purtroppo un problema nel portare aiuti, volontari e infrastrutture in Africa per evitare che Ebola diventi un’epidemia mondiale.
Il virus è stato tristemente reso famoso da film holliwoodiani che descrivono stragi su vasta scala mondiale, ma in realtà questi film dovrebbero descrivere le diseguaglianze e la carenza del sistema sanitario causate dal retaggio del colonialismo e la geopolitica delle superpotenze neocolonialiste.
Risulta innegabile che la situazione sanitaria dell’Africa risente delle situazioni socio-economiche strutturali del mondo globalizzato. Solo migliorando le condizioni degli abitanti dei paesi africani si potranno in futuro estinguere i focolai di malattie virali come l’Ebola.