Oggi, mi ha preso una voglia incontenibile di… risi e bisi. Sarà la Primavera, che finalmente comincia a farsi sentire…. mattinate ancora alquanto fredde, certo, ma poi il Sole scalda, e sul fare di mezzogiorno sembra addirittura quasi estivo. E i profumi. Il glicine, che per me è, da sempre, il profumo di questa stagione. Che permea l’aria con un aroma… beh, oso dire, seducente. Lo stesso che sembra aleggiare intorno alla figura di Flora. Nel dipinto di Botticelli, ovviamente.
E ormai sono in fiore anche i meli. Qui non ne vedo. Mandorli. Un paio di ciliegi… Ma meli no. Eppure, nelle valli del Trentino deve essere uno spettacolo per gli occhi. E, anche, un’intensa emozione olfattiva.
Però, io continuo ad andare con la mente ai Risi e bisi. O, come scrivono alcuni Venetisti radicali , Rixi e Bixi. Chi però non ha alcun effetto sulla pronuncia. Che resta la stessa.
Dunque, Risi e Bisi. Perché, mentre scrivo, è il 25 Aprile. E per me è San Marco. E i Risi e bisi erano, appunto, il piatto della festa. E dell’inizio di Primavera. Quando questa saporita minestra veniva servita, con grande cerimoniale, al Doge stesso. E in origine, i bisi, i piselli erano le primizie che venivano dagli Orti di Sant’Erasmo. In laguna. Prelibatezza che testimoniava la fedeltà alla Repubblica, con l’omaggio al suo Dux.
A Venezia si dice che è “Magnar de Doge”. Eppure è un piatto semplice… a voler essere onesti, povero. Riso, fatto cuocere lento, allungandolo, un poco alla volta, con un brodo, fatto con i baccelli dei piselli freschi. Ché nulla si butta, e tutto si utilizza.
Non è un risotto. Ma neppure una minestra brodosa. Piuttosto, una via di mezzo. E i piselli vanno aggiunti in cottura. Non troppo presto, perché potrebbero sfaldarsi. Non troppo tardi, ché, altrimenti, restano duri come pallini di schioppo… Si deve seguire bene la pentola, di coccio o pietra preferibilmente, per mantenere giusta la consistenza. E dosare i mestoli di brodo. Mescolando lentamente. Con un cucchiaio di legno.
Per i puristi è tutto qui. Poi, naturalmente, puoi, volendo, fare un leggero soffritto. Cipolla e un poco di pancetta. E alla fine spolverare il piatto di grana. Ma ciò che conta, è che i Risi e Bisi assumano quel colore che ricorda il verde della prima erba di primavera, nei pascoli collinari. Perché si devono mangiar con gli occhi, e con le nari, prima che con la bocca.
Va bene… Lo so, non sono certo Gadda. Ma ci ho provato lo stesso. Perché i nostri, veneti, Risi e Bisi non meritano meno del suo, squisitamente geniale, Risotto alla Milanese.
Come, a ben vedere, lo meriterebbero molti piatti. E non solo perché allettanti, squisiti, saporosi… Piuttosto perché certi piatti, certi sapori incarnano una memoria. La tradizione dei popoli. E, pure, quella personale degli individui. E, in qualche modo, mantengono integre le loro radici.
Tutti i sensi sono importanti. E sono strumenti di conoscenza. Che ti portano ben oltre l’oggetto sensibile che suscita la sensazione.
È così nell’amore per la Donna che, come dice Cavalcanti – altra, antica, mania – comincia dagli occhi. Ma, poi, coinvolge e stravolge tutti i sensi. E questo, ovviamente, è Catullo. In primis. Ma è così anche per altre esperienze sensoriali. Sfiorare un drappo di raso. O la buccia, serica, di una pèsca. Avvertire un profumo di agrumi. Di zagara.
E gustare un piatto. Sopratutto certi piatti.
Ricordo il timballo di ziti al forno, che faceva mia nonna, salernitana, per le grandi feste. Un trionfo sontuoso di colori, profumi, sapori. Ne ritrovai uno simile, più ricco ancora, sulla tavola del Principe di Salina, a Donnafugata. Nel Gattopardo. E mi fece comprendere meglio una certa anima del nostro Sud, normanno e arabo, borbonico e italiano.
E ricordo il risotto con i fegatelli di pollo della mia bisnonna lombarda. E il suo strudel. Le nebbie padane e le pendici montagnose dell’Insubria da cui era giunta. Quella sintesi di dolcezza e asprezza ruvida che è il mondo germanico quando incontra quello latino …
E potrei continuare, ovviamente. Ma potrebbe continuare chiunque abbia ancora, nel palato, il sapore di piatti che evocano luoghi, terre, genti. E che non sono, solo, cibo
Non uno degli anonimi tasselli di quella che, con espressioni pomposa, viene chiamata Cucina Fusion. E che, a ben vedere, non è che la versione snob, o meglio ad uso degli snob del McDonald’s…
Potrei continuare, dicevo. Ma devo star dietro alla pentola. I Risi e Bisi richiedono cura. Molta.