Nel subcontinente latinoamericano gli Stati dell’America centrale, gigante messicano a parte, difficilmente fanno notizia e se lo fanno è solo per avallare le tesi degli Stati Uniti come recentemente dimostrato dalle vicende in Nicaragua.
Nel momento stesso in cui il burattino a stelle e strisce Guaidó, consapevole della propria impotenza, accetta un nuovo round di consultazioni con il governo bolivariano di Maduro alle Barbados si intensificano le proteste antigovernative in Honduras.
Proteste che persistono da mesi a partire dagli scioperi indetti da insegnanti e medici contro i decreti voluti dal presidente Juan Orlando Hernández deciso a privatizzare istruzione e sanità. Proteste indette originariamente dalle categorie lavorative colpite dalle privatizzazioni che si sono estese agli autotrasportatori, in grado di paralizzare il Paese, e perfino agli agenti della polizia fino a coinvolgere gli studenti. La capacità di mobilitazione e di resistenza alle violenze della polizia militare, che non esita a sparare sulle folle, è giunta a celebrare il decimo anniversario della destituzione (definita da molti un vero colpo di stato) del presidente di centrosinistra Manuel Zelaya finendo col ricordare l’illegittimità dell’attuale governo.
Hernández, esponente del Partido Nacional de Honduras (Partito Nazionale dell’Honduras, Pnh), fu rieletto nel novembre 2017 dopo la sospensione del risultato definitivo del voto per ben tre settimane quando, con il 60% delle schede scrutinate, lo sfidante Salvador Nasralla risultava in testa di cinque punti percentuali. Al termine del conteggio effettuato dal Tribunal Supremo Electoral (Tribunale Superiore Elettorale, TSE) i primi dati vennero ribaltati assegnando la vittoria al presidente uscente con un margine di cinquantamila voti (42,98% contro il 41,38%).
Pochi ricordano che l’illegittimità di Hernández deriva anche dalla Carta costituzionale della nazione centroamericana che vieta la ricandidatura alla massima carica istituzionale, cavillo superato tramite una sentenza della Corte suprema. Stesso procedimento attuato dal criticatissimo presidente boliviano Evo Morales.
Ma allora cosa differenzia il cinquantunenne presidente honduregno dall’asse del male bolivariano di Maduro, Morales, Ortega e Cuba? Semplice: la politica neoliberista in campo economico, quella filostatunitense in politica estera che fanno dell’attuale inquilino del palazzo presidenziale un protetto della potenza nordamericana. Nel silenzio dei media occidentale i partiti di sinistra e i movimenti popolari e sindacali honduregni continuano la lotta sperando che le prossime consultazioni possano svolgersi nel rispetto dell’esito elettorale decretato da un voto non inquinato dagli interessi dei soliti noti.