Ormai è diventato un bestseller, per quanto possa esserlo un libro pubblicato da una piccola – ma importante e coraggiosa – casa editrice, con una distribuzione non proprio capillare.
Stiamo parlando di “Rivolte – I fermenti nazionalpopolari da Avola a Reggio Calabria” di Alessandro Amorese, edito da Eclettica nella collana Secolo Breve (2020, 18€).
L’autore non è nuovo ad approfonditi lavori di ricerca storica. Qualche tempo fa aveva già dato alle stampe il primo volume sulla storia del FUAN, cui seguirà, ci auguriamo a breve, il secondo.
In “Rivolte”, invece, ripercorre le vicende che, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, infiammarono diverse città del nostro Meridione.
In quel periodo diverse comunità si ribellarono al divario sempre più accentuato tra Nord e Sud che di fatto escludeva metà della popolazione italiana dai benefici di quello che fu il Boom Economico. Mentre centinaia di migliaia di persone erano state costrette ad emigrare verso il Triangolo Industriale costituito dalle città di Torino, Milano e Genova, altri venivano illusi da democristiani e socialisti con promesse mai del tutto mantenute. Taranto, Bagnoli, il porto di Gioia Tauro rappresentavano interventi che avrebbero dovuto dare impulso all’industrializzazione ma che si ridussero a “carrozzoni” che assorbivano enormi risorse pubbliche attraverso la famigerata Cassa del Mezzogiorno; un sistema teso ad alimentare l’appetito di politici voraci che in mente avevano non la crescita economica di quelle popolazioni ma il rafforzamento del clientelismo che serviva a garantire le loro poltrone.
Da qui le rivolte di Avola, Battipaglia, Caserta, Pescara, L’Aquila ma soprattutto Reggio Calabria, tutte raccontate dall’autore con un bel taglio giornalistico e ben documentate con dovizia di dettagli e fotografie d’epoca.
Dal resoconto di Amorese emerge la fotografia di una realtà che le autorità di allora non riuscirono, o meglio, non vollero comprendere. Tanto che non trovarono altro modo che reprimere quelle manifestazioni spontanee con inaudita violenza. Oggi restiamo increduli nel vedere le fotografie dei mezzi blindati dell’esercito spianare le barricate nel centro della città dello Stretto.
Eppure non sono passati che una cinquantina d’anni! Ma se le forze di governo non capirono, non da meno fu il Partito Comunista, che cercò di “mettere il cappello” su quei moti ma che fu cacciato via in malo modo dai manifestanti. Gli stessi manifestanti che, in gran parte, accolsero con favore il supporto delle sezioni locali del MSI, anche se i vertici romani del partito di Almirante tardarono, colpevolmente, a comprendere quei fenomeni; ribellioni che nacquero “nel segno – come dice Angelo Mellone nell’ottima prefazione – di un’identità popolare prepolitica, pre-ideologica, che ripor[tò] in auge l’appartenenza territoriale, il municipalismo, il radicamento urbano, uno dei tratti costitutivi della bellezza e dell’identità italiane”.