L’Italia tutto vuole tranne che andare in piazza per uno sciopero generale. Bonomi dixit. Ed il presidente di Confindustria ha ragione. Come ha ragione quando elenca ciò che, secondo lui, l’Italia vuole veramente. Poi, però, arriva l’intoppo poiché ciò che gli italiani chiedono è proprio ciò che Confindustria non vuol concedere. Lavori sicuri, pagati adeguatamente, carriere basate sul merito, competenze valorizzate, mansioni in linea con gli studi portati a termine.
O anche, più semplicemente, una gestione del personale più corretta. Perché se i dipendenti non vedono l’ora di andarsene in pensione nonostante la sensibile riduzione di reddito, significa che nelle aziende si lavora male. Molto male.
”Sediamoci intorno ad un tavolo e discutiamo”, propone Bonomi. Ma a cosa serve l’ennesimo tavolo di trattative quando Confindustria non è disponibile a compiere il benché minimo passo sul fronte della organizzazione e retribuzione del lavoro?
Per questo è stato di particolare interesse il convegno organizzato ad Alba da Piccola Industria (che fa parte di Confindustria). Con il presidente Robiglio – persona seria – che ha messo in guardia contro lo stupido ottimismo di questi giorni relativo alla ripresa dell’economia italiana. Avrebbe potuto parlare di servilismo dei media e degli imprenditori nei confronti di Sua Divinità Mario Draghi, ma non si poteva pretendere troppo. Comunque Robiglio ha ricordato che le previsioni di crescita del Pil per il 2023 e seguenti sono drammaticamente basse. E con quella crescita il debito accumulato non si ripaga. Rischio default, dunque. Altro che le fantasiose dichiarazioni di Franco e del restante governo dei Migliori.
Dunque è adesso che bisogna consolidare la ripresa gonfiata e sostenuta dai fondi europei. Gli stessi industriali cuneesi, che registrano una crescita superiore alla media nazionale, hanno ammesso che servirebbero nuove competenze e nuove conoscenze per affrontare la transizione ecologica e restare competitivi. Nuove competenze che non possono essere garantite da personale anziano costretto a rinviare la pensione perché Fornero non vuole. E che non vengono garantite da giovani qualificati che non sono disponibili a farsi sfruttare con contratti a tempo determinato per pochi euro quando, spostandosi di poche decine di km nel caso dei cuneesi, ottengono contratti stabili e molto più vantaggiosi nella confinante Francia.
Ma è da sottolineare anche il riferimento di Robiglio ad Alba come luogo dove l’impresa – la Ferrero ma non solo – ha sempre dimostrato attenzione al territorio ed alle persone che sul territorio vivono e lavoro. Il famigerato ruolo sociale dell’impresa. Quel ruolo sociale che aveva permesso alla Ferrero, durante un’alluvione di una ventina d’anni orsono, di ritrovarsi con dipendenti ed ex dipendenti impegnati volontariamente a spalare il fango.
Improbabile che oggi si ripeterebbe la stessa scena nella sede di qualche multinazionale della logistica o della grande distribuzione organizzata.