È notte fonda. Ma non ho più sonno. O, forse, non ho ancora sonno…
Comunque sono seduto sul divano. E mi godo la brezza fresca che, da un paio di giorni, ha preso a spirare, spezzando la cappa di caldo africano che ci aveva oppresso per settimane
Eppure, stando alle notizie che scorro, pigramente, sullo smartphone, la città sta bruciando.
Incendi. Grandi incendi sulla Casilina. E altrove, intorno al Grande Raccordo Anulare. Il Pigneto, poi, sembra essere andato completamente a fuoco…roba da fare contento il Bossi delle prime, lontane, stagioni leghiste. Roba da fare invidia a Nerone…
Ed eccolo qua. Me lo vedo davanti, seduto. Che mi guarda con espressione…divertita direi. Ed è lui. Indiscutibilmente. O, per lo meno, così come me lo sono sempre figurato nella mente. Perché la nostra immagine dei grandi personaggi della storia, è, ormai, per forza di cose condizionata dalle narrazioni, dalle statue, dai dipinti che li raffigurano. E, oggi, ancor più dalle trasposizioni cinematografiche delle loro vicende.
E il mio ospite di stanotte, di volti, sullo schermo, ne ha avuti davvero molti.
Quello pervaso dalla luce di una sadica pazzia di Peter Ustinov. Quello, tutto sommato simpatico ancorché capriccioso di un giovane Alberto Sordi. Quello umanamente ironico di Pippo Franco, in una sorta di delirante rovesciamento della storia ufficiale in forma di Musical…
Però il più incisivo dei volti, possibili e impossibili, di Nerone, resta quello di Ettore Petrolini. Con quel trucco marcato, grottesco. Che mette in rilievo una capacità espressiva da ultima , grande, maschera della palliata. O della atellana. L’estremo erede di Plauto….
Insomma, ormai sarà chiaro… L’ospite di stasera, il fantasma che mi è venuto a visitare, è quello di Domizio Enobarbo, detto Nerone. Passato alla storia, come il peggiore imperatore che Roma abbia avuto. Anche se era una bella gara, con Caligola, Commodo, Eliogabalo…
Mi sorride. Sembra quasi che mi legga nel pensiero.
“Beh, dai…. In fondo tu lo sai che non ero poi così male come imperatore. Il buon popolo di Roma, la plebe, mi amava. Tanto che, per molti anni, dopo la mia morte, la tomba di periferia dove era stato gettato il mio corpo, fu coperta di fiori…”
Già, però il giudizio degli storici è impietoso. Follie a parte – e non furono poche – hai lasciato un dissesto nell’erario da far paura…
Sbuffa. Poi…
“Sì, sì… Il buco nel bilancio. Ci ha pensato poi quel plebeo micragnoso di Vespasiano a ripianarlo. Con tasse e gabelle. Certo, io spendevo. E molto. Ma non solo per me. Ho ereditato una città che, a parte le ville patrizie, era una baraccopoli. Indegna di essere la capitale del mondo. E ho lasciato una città di pietra e marmo. Quartieri popolari, le insulae, con acqua, mura ben solide. Puliti e igienici.
E poi anche le spese personali… Hai visto ciò che resta della mia Domus? Ciò che resta nonostante l’incuria del presente. Il disinteresse e il degrado. Era stupenda, sai? Un capolavoro artistico. E le stanze affrescate da Fabullus, uno dei più grandi pittori di ogni tempo… Pensa che il vostro Raffaello, molti secoli dopo, andava a studiare quelle pitture, o ciò che ne restava. E ne trasse ispirazione per le sue Stanze.. (scuote con decisione la testa). No. Non lo facevo solo per me. Io volevo lasciare qualcosa di veramente bello alle generazioni future… ”
Però di gente ne hai ammazzata tanta…e non solo i Cristiani…
Sbuffa di nuovo. Gonfiando le gote. Sembra proprio Petrolini…
“Tanta….molta meno dei miei predecessori. E poi non ho fatto guerre. L’unico nella storia di Roma. Sai, i romani, quelli di una volta, erano una stirpe di lupi. Feroci. Crudeli. Per questo hanno conquistato un impero. Io, forse, non ero tagliato nello stesso metallo. Mi sentivo un artista. Amavo la poesia. Avrei voluto fare altro… Ma quella pazza di mia madre, Agrippina, mi aveva voluto imperatore. Poi, ha cercato di uccidermi. Con un piatto di funghi, come aveva fatto con Claudio. E con il giovane Britannico. Per portarmi al potere, sperando di potermi manipolare…
(ridacchia) Aveva la cucina pesante, mamma mia. E così, mi è toccato farla uccidere…”
Un attimo di silenzio… Poi
“E quanto ai cristiani, beh avevano messo in giro la voce che ero stato io a dare fuoco a Roma, per poter cantare un mio poema sull’incendio di Troia. Figurarsi…in quei giorni non ero nemmeno in città, ma a Capua. E sono tornato per organizzare i soccorsi….però il poema era proprio bello, sai? Peccato che tu non possa leggerlo..
Comunque, a qualcuno dovevo pur dare la colpa, per far sfogare l’ira della plebe. E Tigellino mi suggerì i cristiani. Gente strana. Stavano antipatici a tutti…
Poca roba, però. Colpii solo i cristiani di Roma. Se eri cristiano, e te ne stavi, che so, a Tivoli o a Sora, nessuno ti toccava. Le vere persecuzioni sono venute dopo… La mia era robetta…”
Lo guardo. In fondo non è antipatico. Certo, non è che mi convinca , però…
Insomma, tu saresti stato un buono… Quasi un santo.. (e mi metto a ridere).
Ride anche lui.
“Beh, mica pretendo tanto. Ma non ero più crudele di altri… facevo l’imperatore…e governare questa città non è mai stato facile, sai?
(un attimo di riflessione)
Lo vedi come è ridotta oggi? Immondizie dappertutto… uno schifo… E adesso anche gli incendi… Mi viene una rabbia…ma i romani non sono più quelli di una volta. Ai miei tempi, per molto meno, avrebbero assaltato la villa dell’imperatore. E lo avrebbero massacrato. Oggi, sono una marmaglia priva di carattere. Subiscono tutto. Accettano tutto. Senza reagire. Anzi, quasi ringraziano questi inetti che li governano…
E poi, nelle vostre scuole, continuate a parlare male di me…”
Fa una smorfia. Si alza. Un cenno di saluto. E dispare. Forse è tornato a Muro Torto. Dove sembra ci sia la sua tomba. E dove, nelle notti di luna piena come questa, dicono si possa vedere il suo fantasma…