La vocazione imperiale della Russia non è certo una prerogativa di Putin, tantomeno una novità. E bisogna andare indietro nel tempo, al di là dell’esperienza sovietica, arrivando in epoca zarista. D’altronde considerarsi la “Terza Roma” vuol ben dire qualcosa. Ma, come in ogni ambito, anche in politica internazionale la vocazione non basta. Ed i russi dovrebbero averlo capito dopo la batosta rimediata nel 1905 contro i giapponesi. Ma anche dopo centinaia di anni di scontri con la Turchia, quasi sempre vittoriosi ma quasi sempre sterili di conseguenze.
Le carenze di Mosca stanno emergendo drammaticamente in questi giorni di assedio mediatico, e non solo mediatico, da parte di Washington e dei suoi servi europei. I pupari di Biden hanno creato a tavolino la minaccia di una invasione russa e Mosca non è stata in grado di opporre una diversa narrazione. La disinformazione atlantista ha dato a Putin la colpa degli aumenti del prezzo del gas, e ha nascosto le eventuali conseguenze per gli europei di un’eventuale chiusura dei rubinetti del gas nel caso di un’aggressione da parte della Nato. In Italia – quando si parla di servilismo c’è sempre chi brilla per essere il primo tra i servi – si dichiara che il nuovo presidente della repubblica DEVE essere atlantista per rafforzare il proprio ruolo nel Mediterraneo. Ossia il presidente deve essere il garante degli Usa, una sorta di proconsole e nulla più.
E la Russia? Muta. Anche perché, se parla, non ha strumenti per farsi ascoltare. Colpevolmente silenziata. Perché pensare di contrastare la disinformazione atlantista mettendo in campo solo l’agenzia Sputnik è piuttosto sciocco. Mosca insiste nell’ignorare il soft power mentre persino la Cina è ormai entrata, seppur con difficoltà e frenate, in questo gioco. L’Inter che vince il campionato di calcio con una proprietà cinese aiuta a migliorare l’immagine di Pechino in Italia. Mentre gli oligarchi russi offrono in Italia solo un’immagine di ricchi stupidi che spendono montagne di soldi in alcol e puttane.
Ma se l’immagine russa è pessima, non è che la situazione geopolitica sia idilliaca. Certo, Putin ha incassato il bel gesto del leader croato che ha minacciato di ritirare il piccolo contingente all’interno della Nato se proseguirà questo asservimento agli interessi nordamericani. Però la Russia non è andata oltre alle chiacchiere a proposito dell’invio di militari e missili a Cuba ed in Venezuela per rispondere alle minacce di Biden di piazzare i missili in Ucraina.
Ed in Europa ha dovuto incassare non solo il crescente servilismo dei governi nei confronti di Biden, ma anche l’allontanamento da Mosca di quei partiti di opposizione che, in precedenza, avevano manifestato simpatie per Putin e la Russia. L’incapacità di gestire questi rapporti non è proprio un motivo di vanto. La gauche caviar è, ovviamente, in prima fila per ricevere gli ordini di Biden, ma anche il centro e le destre ambiscono solo al ruolo di maggiordomi degli Usa.
D’altronde gli Stati Uniti sostengono concretamente le correnti atlantiste e neoconservatrici delle destre mentre la Russia preferisce restare al di fuori non solo della politica ma anche della società civile italiana. E se proprio deve avere rapporti, li ha con i corpi intermedi schierati su posizioni opposte. Con associazioni imprenditoriali che preferiscono fare affari con gli Usa, con giornali che tifano per Washington, con banche che finanziano iniziative filoamericane. Non proprio il massimo come strategia. E si vedono i risultati.