Ricordo che, alcuni anni fa, nel corso di un viaggio negli Stati Uniti, mi imbattei, quasi per caso in una cittadina del Nevada dal pomposo nome di Washington. Non certo la capitale, che si trova da tutt’altra parte, nel Dipartimento di Columbia.
In quel piccolo centro la cosa che mi colpì maggiormente fu una strada, una specie di circonvallazione semicircolare che aggirava il centro abitato, sulla quale si affacciavano una ventina di chiese appartenenti ad altrettante confessioni religiose.
È noto come negli USA chiunque possa inventarsi una chiesa per i fatti propri. Spesso tale soluzione è adottata da chi vuole svolgere un’attività, filantropica o meno, senza dover pagare le tasse.
D’altra parte oltreoceano la tolleranza religiosa si mescola a volte con la “confusione” religiosa.
Ma tale confusione cozza spesso con il reale bisogno di spiritualità che si sta diffondendo sempre di più in un paese che ci è stato presentato come il più laico e tollerante al mondo.
Non deve stupire, pertanto, che il grande chitarrista Ry Cooder sia uscito in questi giorni con un nuovo disco in studio interamente dedicato a temi religiosi.
L’argomento si intuisce fin dal titolo dell’album “Prodigal Son”, che si presenta come una raccolta di brani tradizionali, soprattutto gospel, tratti dal repertorio della musica religiosa americana più profonda e dimenticata, affiancati da tre composizioni originali dello stesso Cooder.
Sembra che questo nuovo lavoro, il primo dopo cinque anni, sia stato voluto e propiziato dal figlio Joachim, che accompagna il padre nel corso di tutte le registrazioni. Il cantante e chitarrista californiano ha infatti affermato in una recente intervista che le canzoni del disco sono quelle che egli esegue da sempre ma cha mai avrebbe pensato di inserire in un disco.
Il suono è spesso asciutto ed essenziale in quanto ai due già citati si aggiungono qua e là pochi altri strumenti e un trio di voci di colore. Ma nonostante ciò il disco è godibilissimo e, per certi versi, ci riporta ai primi lavori del nostro, prima di una serie di sperimentazioni non sempre riuscitissime in ambiti musicali lontani dalla riscoperta delle radici della musica americana più profonda e antica. Quella musica che Ry Cooder ci fece conoscere all’inizio della sua carriera.
Il suono è asciutto ma straordinario e la voce di Ry, malgrado i suoi 71 anni, fresca e intensa come non mai.
L’ascolto è dunque consigliato non solo a coloro che già conoscono questo grande musicista, ma soprattutto a coloro che non hanno mai avuto il piacere di ascoltarlo ed apprezzarlo.