Al bar Casablanca con una gauloise, la nikon, gli occhiali
E sopra una sedia i titoli rossi dei nostri giornali
Blue jeans scoloriti, la barba sporcata da un po’ di gelato
Parliamo, parliamo, di rivoluzione, di proletariato
Il bar Casablanca ha chiuso per la geniale gestione del Covid. E la mascherina ha preso il posto di gauloise e nikon. Anche i titoli rossi si sono scoloriti ed il pacco di giornali da tenere sotto il braccio è stato sostituito da una rapida occhiata allo smartphone. La barba è stata rasata, il vestito è più elegante e, quando non è proprio possibile discutere via Skype (per maggior sicurezza e per rispetto dei più fragili, come da raccomandazioni politicamente corrette), si rinuncia al gelato per qualche beverone salutista.
Però qualcosa è rimasto: “Parliamo, parliamo”. No, di rivoluzione assolutamente no. La gauche senza caviale non pensa certo ad una rivoluzione contro se stessa. I proletari non si sa più cosa siano, anche perché le proli stanno svanendo. Dunque gli intellò gauchisti della corte di Letta – ma assomigliano tanto agli economisti calendiani, a quelli di Renzi ed ai portavoce di Confindustria piazzati ai vertici dei neo atlantisti meloniani – si dedicano all’analisi della situazione delle “fasce deboli”. Che non vuol dire nulla, ma fa tanto intellettuale impegnato.
A spingere alla discussione da bar – trasferita ai tavoli del ristorante stellato – è ora il salario minimo orario. Bocciato dai difensori dello sfruttamento legalizzato, difeso da chi non lo ha capito. Mentre Bonomi, presidente di Confindustria, ironizza spiegando che i contratti stipulati dalle aziende aderenti confederazione sono tutti superiori al minimo ipotizzato dai presunti difensori del salario minimo. Ed i sindacati si preoccupano perché, se esiste un minimo imposto per legge, loro cosa contrattano?
Poi ti arriva Mingardi, sul Corriere, a spiegare che in Italia il livello minimo esiste già ed è rappresentato dal reddito di cittadinanza. Perché se un imprenditore offre un salario inferiore, il lavoratore rinuncia all’occupazione e si tiene il reddito da divano. La realtà, ovviamente, è diversa. Innanzitutto perché il reddito di cittadinanza è estremamente variabile. I famosi o famigerati 700 euro rappresentano un tetto raggiunto da pochi. E non è accettabile anche solo l’idea che si possano offrire retribuzioni di 300/400 euro per poi andare a piangere sui media di regime perché i giovani non vogliono lavorare. Ma i gauchisti da bar non osano parlare di sfruttamento. Anche perché gli sfruttatori sono amici loro.
Il centrodestra risponde con la proposta del taglio del cuneo fiscale. Meno tasse sul lavoro e più soldi in tasca dei lavoratori. Bello, no? Ed anche facile. Con solo qualche piccolo inconveniente, di poco conto. Come i piccoli sacrifici richiesti da Sua Mediocrità Mario Draghi. Perché, in teoria, le ritenute in busta paga dovrebbero servire, ad esempio, a finanziare le future pensioni dei lavoratori. O il sistema sanitario. La sicurezza, la giustizia. Che già non funzionano, figurarsi con altri tagli. Certo, è più semplice sostenere che i miliardi di euro non versati dalle aziende e dai lavoratori devono essere pagati dallo Stato, aumentando ulteriormente il debito pubblico. Oppure che i lavoratori devono pagarsi la sanità non più pubblica. E che devono rinunciare alla pensione, dirottando i soldi verso assicurazioni private. Mentre disoccupati e “fasce deboli” possono arrangiarsi dormendo per strada, senza cure sanitarie e senza introiti economici al di là della carità.
Ma di questo, ai tavoli del ristorante elegante, non si parla. Tema scomodo, difficile. Potrebbe bloccare la digestione delle ostriche o rendere meno piacevole la seconda bottiglia di champagne.