Stamane mi è venuto un uzzolo strano. Una di quelle stramberie che mi passano per il capo mentre spiego. E che mi portano ad uscir dal seminato. Ad abbandonare la lezione che sto tenendo per aprire una parentesi. Che, poi, si dilata sempre più, sino ad assorbire completamente il tempo a disposizione.
No. Non credo sia l’Alzheimer, come, probabilmente, starà insinuando a questo punto il Direttore. Che, per altro mica è più giovane di me…. anzi. Sono sempre stato così, tanto che, moltissimi anni fa, scoprii che in una classe mi avevano soprannominato ” il Dottor Divago”…
Altri tempi, altre classi. Io avevo ancora barba e capelli scuri. E, sui banchi, studenti, senza mascherina, che sapevano che Pasternak non è una qualche marca di dentifricio. O un Tiktoker russo.
Comunque, ero in prima. E stavo parlando dei generi della narrativa. Realistica e fantastica. Fantascienza e fantasy. Romanzo storico e romanzo sociale… Roba così… Poi, non so come, arrivo a citare il genere del romanzo d’avventura. E butto là, per caso, il nome di Salgari. Che, per la mia generazione è citazione obbligata, e anche per tutte quelle precedenti. E per molte successive.
Ma dai loro occhi mi accorgo che non hanno la più pallida idea di chi o di che io stia parlando. E allora…
E allora mi sono dimenticato della teoria dei generi narrativi, degli studi sul formalismo russo e sullo strutturalismo Ceko, di Todorov e Mukarovskij… E mi sono messo a parlare di Emilio Salgari. O meglio a raccontare alcune delle sue storie…
Romanzi che, ad essere sincero, non prendo praticamente più in mano da quasi cinquant’anni. Con un unico intervallo, all’incirca dieci anni fa… Quando, girellando in una libreria, mi capitò di imbattermi in uno strano romanzo. “Ritornano le tigri della Malesia (più anti – imperialiste che mai). Di Paco Iñazio Taibo II. Uno scrittore sudamericano. Castrista. Rivoluzionario. Che, sinceramente, mai mi era stato simpatico. Tuttavia quel libretto mi prese. Perché il Taibo la storia la racconta davvero bene. E dimostra di conoscere a menadito la Saga Malese, quella di Sandokan, Yanez, Tremalnaik e Kammamuri… Certo, non era Salgari, però… E per altro mi rivelò che il suo grande amico Ernesto Guevara, proprio lui il “Che”, dei romanzi salgariani era sempre stato un grande appassionato. Tanto che questi avrebbero influito sulla sua formazione, e sul suo pensiero politico, molto più di Marx. Cosa sulla quale, per inciso, penso che concorderebbe il professor Asor Rosa. Che sulle opere di teoria marxista del “Che” è sempre stato alquanto… caustico.
Comunque, Salgari, quello vero, non lo leggo da tempi immemorabili. Eppure, raccontando ai ragazzini della Prima, mi sono accorto di ricordarlo perfettamente. E non solo le Tigri della Malesia o il Corsaro Nero, cosa facile, viste anche le edizioni cinematografiche che, spesso, ritornano in TV. Ma anche cicli, e romanzi, rari. Di cui quasi nessuno parla. E dei quali ben pochi si ricordano.
Ad esempio. Il ciclo dei Corsari delle Bermude, con la nave da battaglia “LaTuonante” che combatte contro gli inglesi per l’indipendenza americana. Con personaggi incredibili come Testa di Pietra e Piccolo Fiocco.
E poi “Il tesoro del Presidente del Paraguay”. Incredibile avventura nelle pampas di Sud America, con sullo sfondo la disperata resistenza dei paraguagi, guidati da Francisco Solano Lopez, il Napoleone della Plata, contro una grande coalizione di paesi. Dietro alla quale si profilava l’ombra dell’imperialismo britannico.
E ancora, “Il fiore delle perle”, struggente passione d’amore nel mezzo della rivolta delle Filippine contro gli spagnoli.
E “Le aquile della steppa”, i liberi cavalieri lanciati al galoppo nelle steppe kazake, la disperata resistenza di Famagosta in “Capitan Tempesta”, la nobiltà cavalleresca de “Il Leone di Damasco”.
Insomma, raccontavo. Più a me stesso, in fondo, che a quei trenta ragazzini. Che pure, restarono tutta l’ora in silenzio. Ascoltando. Mentre io venivo sommerso da onde di memorie.
Memorie di letture. Ma anche, anzi sopratutto, di immagini, fantasie. Che avevano nutrito la mia infanzia. E ancora la prima giovinezza.
Immagini di eroismo. Di lotta. Di passioni. Di rivolta contro un potere bieco. Di aneliti alla libertà. Perché questo Emilio Salgari, sfortunato autore di romanzi d’appendice , in fondo ha, per molto tempo, insegnato. A intere generazioni. Una visione eroica della vita. Indomita e indomabile.
In preda a quei ricordi, mi è addirittura sembrato di comprendere quello che voleva dire Taibo. E di provare persino una sorta di simpatia – nel senso etimologici del termine – per il “Che”. Che, fino ad ora, avevo sempre considerato una sorta di marchio per magliette da snob alla moda…
Che ci volete fare? Scherzi dell’età… giochi della memoria… Forse il desiderio, più o meno recondito, di una rivolta. Di un Sandokan, di un Corsaro Nero che uscisse dalle pagine dei romanzi e…
Meglio lasciar perdere.