Per celebrare degnamente il centenario della scissione di Livorno che portò alla nascita del partito comunista, il Pd torinese ha deciso di giocare alle primarie divisive. Tutti contro tutti nella scelta del futuro candidato per la poltrona di sindaco della capitale subalpina. Che poi, considerando l’assenza del centrodestra, significa la scelta tout court del prossimo sindaco.

Dunque è inevitabile che emergano tensioni, anche forti, tra le varie componenti. Ed in particolar modo tra i seguaci del non più giovane chirurgo Salizzoni e l’emergente prof del Poli, Lo Russo. Non è solo uno scontro anagrafico. Salizzoni rappresenta la sinistra del partito, legata a ciò che sta ancora più a sinistra, ma in grado di dialogare anche con i 5 Stelle che, a Torino, sono in stragrande maggioranza collocati sulle medesime posizioni.
Lo Russo, dotato di scarsissima empatia, è invece il prediletto del Sottosistema Torino, dei salotti della gauche caviar, dei centri di potere e sottopotere. Odiato dai pentastellati, amato da una parte delle madamine.
Sono anche due modi opposti di interpretare il futuro della città. Anche se di programmi proprio non si parla. Mentre spuntano autocandidature nell’illusione che uno scontro tra Salizzoni e Lo Russo possa condurre alla scelta di un personaggio di mediazione. Magari Gianna Pentenero.
Oppure, vista l’assenza di programmi, tutto rientra in una strategia di comunicazione mediatica, per tener viva l’attenzione su un Pd privo di visione e di progetti.

Tanto, sul fronte del centrodestra, si è convinti che il saggio Mattarella – come lo definisce il trio meraviglia (Salvini, Meloni e Tajani) – imponga il rinvio del voto. Perché la democrazia non piace quando non si è sicuri di vincere. Ed allora, se le elezioni slittano, è inutile affannarsi con candidati, progetti, iniziative, programmi. Se ne parlerà più avanti, se proprio è necessario. E se il rinvio delle elezioni non ci sarà, ci si potrà sempre lamentare del poco tempo a disposizione.
Il centrodestra torinese non vuole vincere, si accontenta di avere un alibi per l’ennesima sconfitta.