Che la gestione della pandemia sia una buffonata, è ormai evidente a chiunque non abbia rinunciato a pensare a causa del terrore mediatico. Il calcio, che è un business sempre meno nazionale, deve proseguire come se nulla fosse perché i giocatori possono scendere in campo anche se positivi. Il turismo, invece, deve chiudere e marciare verso il fallimento in modo che le immancabili multinazionali possano acquistare l’intero comparto al minimo prezzo. Non a caso il celebre hotel Danieli di Venezia è appena passato di mano.
Inevitabili, dunque, le proteste delle associazioni di categoria. “Finite le feste – assicurano Paolo Bianchini e Ferdinando Parisella, presidente e segretario nazionale di Mio Italia, il Movimento Imprese Ospitalità – il bilancio per il settore Horeca (ristoranti, bar, pizzerie, pub, cocktail bar) è nefasto. A Capodanno è saltato un cenone su due e Natale è andato deserto. Dietro l’angolo si prospettano migliaia di nuovi licenziamenti. Tantissime strutture saranno infatti costrette a chiudere nel primo trimestre 2022 per mancanza di ossigeno. Il Centro studi di MIO Italia sta monitorando la situazione. Per la terza stagione consecutiva siamo in emergenza covid, questo è un fatto. E alle misure sanitarie devono corrispondere nuove misure economiche, questo è evidente».
A loro avviso si è ormai arrivati ad un bivio: “O si aiuta il comparto Horeca o lo si affossa definitivamente (con grande giubilo delle multinazionali e della delinquenza organizzata). Al premier Draghi MIO Italia chiede un urgente scostamento di bilancio per sostenere il settore”. Comprensibile, indubbiamente. Però, proprio perché il comparto chiede nuovi fondi pubblici, sarebbe corretto anche un intervento delle associazioni contro alcuni atteggiamenti, sempre più diffusi, che spingono i consumatori a rifiutare l’idea di dover pagare le tasse per mantenere chi, con una assurda politica dei prezzi, impedisce agli stessi consumatori di frequentare ristoranti, hotel, pizzerie.
Gli aumenti, reali, di luce e gas non giustificano pizze Margherita a 10 euro ed oltre. Non giustificano primi piatti, in normalissimi ristoranti senza pretese, a 15/18 euro. La mancanza di turisti stranieri non è un alibi per far pagare al cliente italiano anche il pasto non consumato da chi non è arrivato in Italia. E sarebbe anche il caso che le associazioni di categoria cominciassero a protestare contro i negozianti che moltiplicano i ricarichi di abbigliamento, alimentari di base, bevande e oggettistica varia per recuperare le perdite dovute al calo della clientela.
Un circolo vizioso. Perché quando un negoziante si “dimentica” di non conteggiare la tara e fa pagare tre strati di carta al prezzo del prosciutto più caro, non può pretendere ristori pubblici se il cliente si rivolge al supermercato. E nelle località turistiche è anche peggio. Con i negozianti offesi di fronte alle proteste, pronti solo a replicare: “Se non vi sta bene, andate in altri posti”. Verissimo, a patto però di non chiedere soldi pubblici di fronte al crollo delle vendite.
E Mio Italia, che è un movimento serio, dovrebbe aprire un tavolo di confronto proprio su questi atteggiamenti sempre meno tollerabili.