La neve invernale e poi le infinite piogge primaverili. Quest’anno nessuno può più lamentarsi per la siccità. Però, in montagna, i problemi rimangono. Innanzitutto perché ogni anno è diverso dagli altri e le difficoltà idriche per l’irrigazione dei campi possono ripresentarsi.
E in secondo luogo perché le bealere, cioè i canali che raccolgono le acque e consentono l’irrigazione, sono anche fondamentali per evitare il dissesto dei terreni, riducendo i rischi di frane e smottamenti.
Ma se in periodi di siccità tutti si ricordano dell’importanza delle bealere, quando la pioggia abbonda ci si dimentica che i canali devono avere una manutenzione costante per poter essere utilizzati quando sono indispensabili.
E la manutenzione costa. Lo sanno bene a Valdieri, sulle Alpi cuneesi, dove i consorzi irrigui sono sempre alla disperata ricerca di fondi per garantire la conservazione di opere che risalgono anche al Settecento. Quando l’attenzione per la montagna, ed il rispetto del territorio, erano decisamente superiori.
Ora si deve ricorrere a cene di autofinanziamento perché le istituzioni hanno sempre difficoltà di cassa quando si tratta di intervenire a favore delle Terre Alte. Più facile finanziare, con cifre molto più elevate, iniziative dei soliti amici degli amici. E più facile, anche, spendere molto di più per affrontare le emergenze legate alle frane provocate dalla mancata manutenzione dei canali.
Eppure le bealere possono essere utilizzate persino per attività turistiche, con percorsi facilmente affrontabili dalle famiglie, considerando la modesta pendenza ed i paesaggi attraversati.
Come è stato fatto, in Valle d’Aosta, tra Ayas e Brusson (nella foto) trasformando in passeggiata panoramica una parte del vecchio canale. Servirebbero, però, sensibilità e conoscenza del territorio. Difficili da individuare in chi vive negli uffici e quando esce si dedica ad aperitivi, cene, incontri mondani invece che montani.
Il mancato intervento pubblico può portare solo a due conseguenze: la mancata o ridotta manutenzione, con peggioramento del servizio di irrigazione e rischi di dissesto del territorio; oppure un aggravio dei costi per gli agricoltori di montagna che già devono affrontare maggiori disagi e spese superiori rispetto alla pianura, per di più in un territorio con minori rese agricole.
In ogni caso si tratterebbe di un incentivo all’abbandono della montagna e delle attività collegate.