Ben pochi, oggi, in Italia ricordano cosa fosse il Samizdat. E in verità, ben pochi lo sapevano anche al tempo, nell’ultimo scorcio dell’era sovietica dominata dalla corpulenta figura di Leonid Breznev. Anche perché i nostri Media fingevano di ignorarne l’esistenza. In omaggio ad una certa egemonia culturale vigente…
Comunque era una sorta di editoria sotterranea. Clandestina. Libri, saggi, racconti, romanzi scritti a macchina – mica c’erano i computer e internet – in genere di notte, sperando che il vicino di casa non sentisse il ticchettio dei tasti. E non denunciasse. Dattiloscritti che giravano di mano in mano. Venivano letti, ricopiati… Un fiume carsico che attraversava l’URSS e i suoi satelliti. Qualcuno, faticosamente, giungeva in Occidente. E trovava un editore. Per lo più andarono, però, perduti. Nonostante lo sforzo di esuli come Sacharov, Siniavskij, e di riviste edite in Europa occidentale. La più importante, per qualità letteraria e peso politico, “Kontinent”, diretta per vent’anni da Vladimir Maksimov.
Certo, non tutto era oro o perle. Ma il Samizdat incise profondamente nella cultura di quei paesi. Formò una generazione di giovani capaci di dissentire da ciò che veniva loro inculcato a livello ufficiale. E produsse anche opere geniali. Alcuni capolavori. Come “Arcipelago Gulag” di Solgenicijn. Che circolò a lungo manoscritto.
Samizdat, in russo, significa “edito in proprio”. Letteratura fai da te, se vogliamo. E rappresentava non solo un atto di dissenso. Ma anche di coraggio. Di vero e proprio eroismo. In molti pagarono con l’emarginazione sociale, la perdita del lavoro. Il carcere o la clinica psichiatrica. Perché chi non era d’accordo, il “dissidente” che non accettava la vulgata ufficiale del regime era un criminale. O, semplicemente, un pazzo.

Storie d’altri tempi. E di altri regimi. Oggi, nella società della turbo-comunicazione, dei social, della interconnessione sembra preistoria parlare di dattiloscritti che circolavano nelle catacombe. Roba da amanuensi. Roba da medioevo. Oggi, invece…
Già, oggi se appena provi a condividere un post vagamente critico sul Covid, o che fa sapere che dopo il vaccino è morto, casualmente, un trentenne sano come un pesce – non un reduce di El Alamein stroncato dal virus – subito viene fuori un avviso che, in sostanza ti dice: pensaci bene, vai prima a documentarti sui siti di informazione ufficiale… Oppure: i vaccini sono sicuri!
Se poi sei uno che insiste nel porre domande scomode, nell’esprimere qualche perplessità e fai l’errore di scriverlo, ecco che balza fuori il censore: Chi sei tu per dire questo?
Oppure: Ma tu pubblichi solo post negazionisti?
Già “negazionista”. Suona molto peggio di “dissidente”. È una sorta di bolla di infamia. E, in molti casi, spinge l’accusato a recedere. A rimangiarsi tutto. Ad allinearsi. Nella migliore delle ipotesi a stare in silenzio…
E non c’è più bisogno dell’occhiuto e trinariciuto Capopalazzo che denuncia chi scrive di notte. I Social rigurgitano della versione informatica delle spie da balcone. Pronte a riferire alle Amministrazioni. A far condannare il negazionista alla pena del silenzio. Per alcuni giorni, per un mese. O definitivamente.

Così una televisione indipendente via web viene cancellata dalla sera alla mattina. Aveva molte migliaia di contatti. Ma il ragionier Pipitone, dipendente del catasto meritatamente in pensione dopo vent’anni di inutile servizio, e che gira in auto da solo con due mascherine, casco e guanti, ha trovato disdicevole un servizio sulla falsificazione dei dati dei positivi al Covid. E ha fatto, anonimo, la sua brava delazione…
Per tacere di “pagine”, riviste, profili di giornalisti, anche con molto seguito, o meglio proprio per questo, azzerate in un attimo. Senza spiegazione. Probabilmente anche qui dopo la denuncia /delazione di qualcuno. Di un’attempata “Bimba di Conte”. O di un qualche zelante /zelota di Speranza, di un fan di Galli….
Ora, da ragazzo, leggevo Kontinent, nella versione italiana. O, per lo meno, lo lessi sino a che qualcuno non ne proibì di fatto la pubblicazione nella nostra lingua. Ricordo, tra gli altri, un racconto, giunto in Samizdat, di uno scrittore praghese, Ota Filip. Un umorista, condannato al carcere e poi al lavoro coatto dopo la repressione della Primavera di Praga. Mi colpì per la caustica leggerezza con cui metteva in luce la grottesca, e ottusa, stupidità dei servitori del regime. I paradossi. Le assurdità. Di cui pochi, però, si accorgevano. O meglio, di cui pochi volevano accorgersi.

Demoliva non tanto il regime, quanto la viltà di tutti coloro che, per le più diverse ragioni, subivano, tacevano, di fatto sostenevano ciò che, palesemente, era un nonsenso. Un assurdo volto solo ad esprimere ed imporre un potere bruto.
Gli scritti di Filip, e di altri come lui, giungevano in occidente attraverso la rete del Samizdat. E circolavano in patria dattiloscritti.
Circolavano, e facevano pensare.
Oggi, verrebbero cancellati. Annullati. Con il plauso e la collaborazione di un nessuno che mai ha letto un libro… ma che ascolta il telegiornali, i talk show, e a cui manca ossigenazione al cervello perché porta la mascherina anche quando dorme…