In Valle d’Aosta ci si impegna da tempo affinché venga superato il bilinguismo (italiano/francese) per passare almeno al trilinguismo. Nella sanità pubblica è già una realtà (magari si potrebbe dubitare su una adeguata conoscenza del francese di alcuni medici arrivati da fuori, ma sarebbe una polemica assurda considerando la situazione di emergenza). Dunque all’ospedale di Aosta va di moda il “boarding”, che fa fine e non impegna. Scendendo a sud di Pont St. Martin si potrebbe definire “parcheggio per malati” all’interno del pronto soccorso, in paziente attesa che si liberi un posto nei reparti.
Ma “parcheggio per malati” suona male, dà l’idea di un affollamento del pronto soccorso, con gente sistemata sulle barelle o magari sulle sedie a rotelle. Che è la realtà quotidiana, ma detto in inglese suona diverso.
La Vallée, indubbiamente, ha un irrisolto problema di numeri. Le strutture regionali, comprese quelle sanitarie, sono predisposte sulla base del numero dei residenti, facendo finta che i turisti non esistano. E invece ci sono, in alcuni mesi dell’anno sono anche tanti e devono spesso ricorrere all’assistenza medica. Già, quell’assistenza che viene sempre meno garantita anche ai valdostani poiché i medici paiono scomparsi. In parte per una demenziale politica nazionale del numero chiuso all’Università, con una programmazione fatta da totali incapaci che non erano neppure in grado di valutare i fabbisogni sanitari nazionali. E poi per una errata politica retributiva, sempre a livello nazionale.
A tutto ciò si aggiungono gli errori della politica locale. Negli anni delle vacche grasse si sono sprecate montagne di denaro per le iniziative più assurde e più inutili. La sanità assomigliava più ad una mangiatoia che ad un servizio pubblico. Ed ora che i soldi non arrivano più a vagonate, la sanità pubblica appare la Cenerentola della Valle.
I medici se ne vanno, possibilmente in Svizzera. Dove sono pagati meglio. Ma erano pagati meglio anche in passato, quando però i sanitari valdostani non abbandonavano il proprio territorio. Oggi se ne vanno perché le condizioni di lavoro in Svizzera sono precise: se devi fare 100 ore ne fai 100, non 200. I ruoli sono ben definiti, gli orari corretti, le programmazioni rispettate. Non ultimo, investono sul personale, formandolo, in continuo.
Già, la formazione. Vale anche per gli infermieri in Valle. Ma essendo perennemente e pesantemente sotto organico, vengono spostati da un reparto all’altro a seconda delle urgenze del momento. Facile intuire la scarsa attenzione alla professionalità, alla competenza, all’esperienza. E, naturalmente, si ricorre di continuo agli straordinari. Fregandosene delle condizioni di stress che non migliorano certo sicurezza e servizio per i malati. Costretti a convivere con estranei a pochi centimetri di distanza, senza privacy, senza riservatezza, senza decoro.
E con la carenza dei medici di base sul territorio, è evidente che i malati si riversano sul pronto soccorso dell’ospedale di Aosta anche per pratiche che non dovrebbero essere di competenza del pronto soccorso, con inevitabile caos e affollamento eccessivo.
L’unica soluzione individuata è il ricorso ai gettonisti, medici strapagati presi dall’esterno a prescindere dalle competenze ed impiegati in alcuni turni. Così in pronto soccorso arrivano dottori che hanno altre specializzazioni e che, pur bravi, non riescono a collaborare efficacemente con i colleghi, non conoscono ambiente e situazioni particolari.
Le proteste stanno aumentando. Ma la politica se ne frega poiché non sono ancora a livello di guardia. E questo solo perché il personale (medici, infermieri, oss) ha ancora una mentalità da grande paese, con atteggiamenti gentili, cordiali, umani. Tutto questo serve a non esasperare la rabbia dei malati, ma non basta per risolvere problemi che la politica regionale si ostina a far finta di non vedere.