Ogni stagione ha i suoi profumi. E i suoi sapori. E ogni Festa vive, nel nostro ricordo, anche per questi. In verità più che ricordo è una rimembranza. Il ritorno di una sensazione. Olfattiva. Gustativa. Fisica, certo. Ma quando il fisico, i sensi, divengono veicolo di conoscenza che va ben oltre la parvenza materiale delle cose. Come nel Castello d’Amore del Marino. Dove l’esperienza sensoriale diviene la necessaria propedeutica a quella intellettiva. Il corpo come porta dello spirito. E non come inconciliabile antitesi..
Gusto e olfatto. Troppo spesso trascurati. Certo la vista, l’udito… La bellezza delle forme, di un quadro, di una Donna… E l’armonia di una musica, di una poesia. Di una voce…
Ma riuscite ad immaginare un mondo senza odori né sapori? Sarebbe gravemente depauperato della sua ricchezza e varietà. E G. B. Shaw diceva di diffidare sempre di chi non mostrava interesse per ciò che mangiava. Dubitava della sua capacità di cogliere la bellezza anche in altro modo. Del suo senso estetico.

Siamo in Carnevale. Che, con la metà di Gennaio, sta entrando nella sua fase culminante. E il Carnevale, nella mia memoria, si lega anche, forse soprattutto, a profumi e sapori.
I galani. Sottilissime sfoglie di pasta fritta, dolci, asperse di zucchero a velo. Assomigliano a frappe, cenci, chiacchiere, crostoli … Ogni città, ogni regione ne ha la sua versione. Ma il galano veneziano è particolare. Sottilissimo, quasi impalpabile. Fritto nell’olio e accartocciato su se stesso. Arioso. Ha l’eleganza di un merletto di Burano. La scintillante luminescenza di un vetro appena fuso in una fornace di Murano.
In bocca si scioglie immediatamente. Rilasciando una sensazione tanto intensa, quanto effimera. Come un bacio, o un amore rubato nella penombra di una calle. Mentre fuori, nei campi e campielli, impazzano le sarabanda delle maschere…
Poi le frittelle, quelle veneziane, fritte, di pasta densa, con uvetta e pinoli. Divorate a rapidi morsi appena tirate su dal calderone di rame. Ove ribolle abbondante l’olio. Divorate subito. Senza lasciar scorrere il tempo, ché, altrimenti, divengono dure come pietre. E ci puoi giocare a bocce. Ma calde, quasi roventi da scottare la lingua, sono una delizia incomparabile. Un profumo intenso, e un sapore morbido e forte insieme. Morderla è come affondare i denti, le labbra, la lingua in un corpo che si abbandona con sensualità. Che si lascia prendere. E che, al contempo, ti prende.
E potrei continuare. Le creme fritte. Bollenti fuori e crostolose. Dentro morbide e fresche. E, l’ormai sempre più raro, pasticcio di carni, animelle, frattaglie, cotto al forno in dolce crosta di frolla. Ne andava pazzo Casanova. E non senza ragione. Il sapore forte delle carni e di un ragù speziato si fonde, in un iridescente gioco di contrasti, con quello zuccherino della frolla. È un’esperienza rara, come dicevo. E di indicibile sensualità.

Il Carnevale è tutto racchiuso in questo scrigno di sapori e profumi. Invitanti. Seducenti. Come una splendida Donna, l’abito ampio di broccato, la parrucca bianca cotonata. La maschera nera con filamenti d’oro che cela la parte alta del volto. Ma esalta gli occhi ridenti e scintillanti. E le labbra d’un rosso acceso. Con un neo nerissimo accanto all’angolo della bocca…
Carnevali che furono. E che vivono, ormai, solo nella memoria. E nelle sensazioni che evocano il passato.
Dicono, i soliti grandi “esperti, che uno dei sintomi del COVID sia la perdita del senso del gusto. E dell’olfatto.
Non ne conosco le ragioni cliniche. E non so neppure se sia vero. Né, in fondo, mi interessa discuterne.
Tuttavia, mi sembra una perfetta metafora di questo triste Carnevale. Senza gioia, senza piaceri. Senza profumo né sapore…