Io Saturnalia!
Fossimo nella Roma antica, è il grido, il saluto, l’augurio, che in queste ore sentiremmo risuonare per ogni dove, dai vicoli della Suburra alle sette vette del Palatino. Dal Bosco Sacro di Strenua al Foro.
Perché questi sono i giorni dei Saturnalia, forse la più grande, e sentita, Festa dell’antichità latina. Perché connessa, profondamente, con la stessa terra, con le radici da cui Roma era sorta. Il Lazio è infatti Saturnia Tellus. Il luogo dove si sarebbe ritirato Saturno, dopo aver lasciato a Giove il dominio dei Cieli.
Il mito greco parla di Zeus che spodesta il padre Cronos. Tuttavia la tradizione romana è diversa. Perché Saturno rappresenta l’Età dell’Oro. Il tempo fuori dal tempo. Il Tempo cosmico. Il piano della perpetuità, dove non esiste morte o dolore, fatica o sofferenza. Mentre Cronos è il tempo che scorre inesorabile, e che divora i suoi figli.

I Saturnalia erano, dunque, il momento straordinario in cui il tempo ordinario veniva sospeso. Per questo le Feste presentavano aspetti che a noi possono, in certo qual modo, ricordare il Carnevale. O Halloween.
Si rompevano tutte le, rigide, regole sociali. Gli schiavi erano, in quei giorni, considerati uomini liberi. Ed era uso che lo stesso padrone li servisse a tavola. Allo stesso modo uomini e donne di ogni ceto godevano di una inusuale libertà nel vestire come nei comportamenti.
“Semel in anno licet insanire”. Una volta all’anno è lecito comportarsi come folli, era il motto. Un paradosso che adombra un significato ben più profondo di quello che abitualmente gli attribuiamo, ovvero di giustificazione di dare sfogo a pulsioni represse dalle convenzioni sociali.
Insanire, significa andar fuori di mente. Una tecnica, se vogliamo, di pazzia simulata. Che serviva a spezzare il continuum spazio /temporale ordinario. Per riuscire a percepire un’altra dimensione. L’Età dell’Oro, appunto.

Era, comunque, una bella festa. Anzi, un insieme di giorni festivi che cominciavano il 17 dicembre – ma, durante la storia, la data è stata sempre fluttuante – con un banchetto. E continuavano con varie celebrazioni e pasti ricchi sino al 23. Quando subentravano i Larentialia, festa, questa, particolarissima, che merita un discorso a parte. Poi, il 24 il giorno di Angerona, la Dea che impone Silentium! Perché all’alba del 25 il Sole rinasce.
La notte prima dei Larentialia, si chiudevano i giorni di Saturno. La porta fra i mondi si sarebbe presto rinserrata. E i defunti, gli antenati, se vogliamo i fantasmi, si sarebbero ritratti. Dopo aver camminato accanto ai viventi. Perché in quella manciata di giorni si ritornava all’età aurea. Dove non esiste la morte. Dove è un eterno presente.
Si chiudeva l’ultimo banchetto festivo bevendo abbondante vino, la bevanda dell’estasi. Che mette in comunione con gli Dei. E mangiando la tradizionale focaccia di farro, impastata col miele e frutta secca e candita. Da cui, in certo qual modo, discendono molti, se non tutti gli odierni dolci natalizi. E ci si scambiava doni e rami augurali di vischio.
Il Dio della Festa era Saturno, rappresentato come un Vecchio solenne, dalla lunga barba bianca. Un Dio che dominava il tempo. Per il quale una notte poteva durare per sempre. Essere infinita… E regge in mano una falce. Perché insegnò agli uomini l’agricoltura, certo. Ma la falce rappresenta anche la Luna. E il tempo. Perché il Calendario più antico si fondava sulle lunazioni…
Chissà perché, quest’immagine mi ha sempre fatto pensare ad un’altra credenza. Ad una fede infantile. Quella in Babbo Natale….
Suggestioni disneyane mai digerite , forse… Però, un vecchio con la barba candida, che controlla il tempo, che porta doni e felicità… Evoca una slitta, o un carro trainato da renne volanti – e il segno zodiacale di Saturno è il Capricorno – che attraversa il cono di luce della Luna, invitando gli uomini alla festa. E a spezzare il grigiore dei giorni, a liberarsi di regole e costrizioni, di catene e altri simboli di schiavitù. Un invito mai come oggi attuale.
Forse, i bambini che credono in Babbo Natale, sono restati ancora gli unici capaci di percepire l’antico Dio. E ad udire il suo grido di incitamento, che nella lontananza si è un po ‘ confuso, divenendo il festoso “Oh oh oh!”.
Mentre, se si pone bene orecchio, suona altrimenti
“Io Saturnalia!”