Poteva mancare Roberto Saviano al Salone del libro di Torino in programma dal 19 al 23 maggio? Certo che no! E tutta la solita compagnia di giro – da Jovanotti a Don Ciotti, da Bignardi a Ravera, da Zero Calcare a Barbero, da Canfora ad Erri De Luca – sarà ovviamente presente, impegnata in presentazioni a raffica. Ovviamente nessuno si illudeva che sotto la guida di Nicola Lagioia si potesse arrivare ad una edizione pluralista, aperta al confronto con chi non è allineato al pensiero unico obbligatorio.
Ma, ancora una volta, chi ha votato per affidare la Regione Piemonte al centrodestra si chiede perché i soldi pubblici della cultura debbano essere destinati esclusivamente ai progetti di chi le elezioni le ha perse. Perché lo spazio per gli autori non allineati non sia previsto. E non è solo un problema della regione subalpina. Perché, al momento, sono 14 le Regioni che hanno annunciato la presenza al Salone di Torino e non una di quelle amministrate dal centrodestra ha presentato un programma di iniziative in linea con le aspettative di chi ha votato questi governi regionali. Anzi, la Regione ospite ufficiale, il Friuli Venezia Giulia guidato dal centrodestra, al momento ha solo comunicato iniziative per far felici gli oppositori locali.
Una situazione paradossale che evidenzia, ancora una volta, la totale incapacità di una classe politica che prova un odio viscerale per tutto ciò che abbia un vago sentore di cultura. Sotto qualsiasi forma si presenti. Un fenomeno tipicamente italiano. Perché in Francia le destre riusciranno nell’impresa di perdere le elezioni presidenziali, ma sono diventate maggioritarie nell’Esagono proprio perché gli intellettuali della galassia delle destre hanno soppiantato gli intellos gauchisti. Svaniti i nouveaux philosophes, diventato una macchietta patetica Bernard Henri Lévy, ad incidere sulla realtà, sulla mentalità transalpina sono stati gli autori di riferimento delle varie destre. Destre magari inconciliabili tra loro, politicamente nemiche – atlantiste ed anti Nato, liberiste e sociali, cattoliche e laiche – ma teoricamente in grado di cambiare comunque la Francia. Peccato che la teoria si scontri con il dato di realtà delle divisioni partitiche, dell’impreparazione e dell’inadeguatezza dei politici di professione.
Sotto questo aspetto le affinità con la situazione italiana sono evidenti. Ma solo sotto questo aspetto perché, perlomeno, manca in Francia la guerra sistematica contro gli intellettuali della propria area. Ciascun gruppo ha i suoi riferimenti, magari non si fa sistema, ma si evitano stupide gelosie nei confronti di chi ha la colpa di pensare e di parlare dopo aver studiato.