Il reddito di cittadinanza è stato fortemente voluto ed ottenuto dal Movimento 5 Stelle. Al di là delle buone intenzioni per combattere la povertà e offrire un sostegno economico alle famiglie più disagiate, a distanza di un anno dalla sua introduzione i numeri certificano il flop. Il contributo economico pubblico non è stato finora utile a rilanciare i consumi e l’economia del Paese. Al punto che lo stesso premier Giuseppe Conte ha promesso che sarà fatto un tagliando a breve, anche perché, di fatto, non ha prodotto quei risultati tanto attesi, ossia la possibilità di trovare lavoro.
Settembre sarà un mese complicato e molto intenso, non solo per i possessori del suddetto beneficio economico, ma anche per i Caf e per i Centri per l’Impiego. Il motivo è semplice: il 30 settembre, per molti beneficiari, scadranno i 18 mesi canonici previsti dal Decreto 4/2019. Questo significa che dovrà essere presentata nuovamente la domanda di richiesta ai Caf e, molto probabilmente, sarà previsto uno stop per 3 percettori su 10. Questo riguarda tutti coloro che stanno percependo il reddito di cittadinanza dallo scorso aprile 2019.
Un ulteriore dato importante riguarda le tempistiche: coloro che risulteranno nuovamente idonei, dovranno aspettare – apparentemente – un mese per il nuovo riaccredito. In realtà però, non sarà così. La domanda dovrà essere presentata a distanza di un mese, e cioè, a fine ottobre. Se poi, però, calcoliamo che l’Inps dovrà ricontrollare ogni singola richiesta, va da sé immaginare che tutto slitterà quasi a fine novembre.
In base agli ultimi dati INPS sono più di 3 milioni gli italiani che percepiscono il reddito o la pensione di cittadinanza. La maggioranza delle domande (56%), arrivano da Sud e Isole, seguite dalle regioni del Nord, con il 28%, e da quelle del Centro (16%). Per quanto riguarda le singole regioni, i primi posti sono occupati da Campania, Sicilia e Puglia, seguite da Lazio e Lombardia. Le domande accolte sono il 68% del totale, 137mila sono in lavorazione mentre 510 mila (il 25%) sono state respinte o cancellate. Come detto, in termini di singole persone coinvolte, sono oltre 3 milioni i percettori, quasi tutti relativi al reddito di cittadinanza (2,9 milioni, contro 157mila pensioni di cittadinanza).
Diversi i numeri del Reddito di Emergenza: al 30 giugno, 455mila domande. Rilevante il dato sulle risposte: sono più numerose le domande respinte (il 49%), di quelle accolte (il 46%). C’è poi un 5% che è ancora in attesa di definizione. La distribuzione geografica riflette quella del reddito di cittadinanza: maggiore concentrazione nel Sud e nelle Isole (48%), a seguire le regioni del Nord (33%) e infine quelle del Centro (19%).
Con il decreto rilancio, accanto a reddito e pensione di cittadinanza, il governo ha messo a punto una ulteriore rete di sostegno per chi non può accedere al reddito di cittadinanza: il Rem che è già stato erogato a circa 300 mila cittadini.
Facendo il punto della situazione solo il 2% dei percettori di RdC hanno finora trovato un posto di lavoro. Un dato che mette nero su bianco, ed in maniera inequivocabile, quanto questa misura è inutile, è puro assistenzialismo fine a se stesso che non favorisce l’occupazione dei suoi beneficiari pur pesando ingentemente sui conti dello Stato. Il reddito di cittadinanza diventa un vero e proprio carrozzone pubblico, pronto a triplicare la forza lavoro, ma non ad assolvere i suoi compiti. Un fallimento che si percepisce dopo il gigantesco piano di assunzioni in Lombardia, dove, una volta conclusosi il maxi-concorso, si vedrà triplicare il personale assunto nei centri per l’impiego. 1.214 posti di lavoro disponibili per i navigator, che hanno lo scopo di far ingranare il reddito di cittadinanza, che rischia di rimanere un palese ed evidente fallimento della politica.
A distanza di 18 mesi dal suo esordio, come detto solo il 2% di quanti hanno percepito il sussidio è riuscito a trovare un posto di lavoro. All’orizzonte, adesso, si aggiunge anche il fatto che il blocco dei licenziamenti verrà meno e si rischia un boom di disoccupati. Spendere soldi pubblici per erogare un sussidio a chi a non ha lavoro fino a che punto è utile?
Il reddito di cittadinanza non è un sussidio di disoccupazione ma è un sussidio che dovrebbe accompagnare il cittadino a rientrare nel mondo del lavoro. Sono i numeri ufficiali che decretano il fallimento della misura: stando ai dati del Rapporto 2020 del ministero del lavoro sul reddito di cittadinanza in Italia, sono poco più 800mila i soggetti che sono tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro e quindi collocabili immediatamente sul lavoro. Il 44% di questi è stato preso in carico dai centri per l’impiego ed, attualmente, 70mila beneficiari hanno trovato lavoro. La maggior parte di questi è riuscito a trovarlo da solo, senza un concreto sostegno dei navigator. Molto probabilmente lo avrebbe trovato anche senza l’istitutzione del reddito di cittadinanza. La Fase 2 del reddito di cittadinanza, ovvero quella del reinserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari del sussidio, non ha prodotto alcun risultato tangibile nonostante i circa 3 mila navigator al lavoro.
Il Paese necessita di seri investimenti di incentivazione al lavoro, non solamente misure assistenziali. Serve invogliare i datori a offrire impiego, detassando le nuove assunzioni, favorendo l’ingresso nel mondo occupazionale tramite sgravi fiscali, tutto ciò che la politica degli ultimi trent’anni ha spesso dimenticato all’indomani di promettenti campagne elettorali. Occorrerebbe, inoltre, ritoccare la scala di attribuzione, togliendo vantaggio ai nuclei piccoli a discapito di famiglie numerose, come anche INPS e ISTAT hanno denunciato, riconoscendo lo squilibrio.
Il reddito di cittadinanza che è stato ideato per finalità occupazionali, nei fatti ha trovato paradossalmente solo lavoro ai Navigator.
Parliamo di 2.980 persone che hanno il compito di supportare gli operatori dei Centri per l’Impiego nella realizzazione di un percorso che coinvolga i beneficiari del reddito di cittadinanza considerati occupabili (e quindi tenuti a sottoscrivere il patto per il lavoro), dalla prima convocazione fino all’accettazione di un’offerta di lavoro congrua. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio statistico dell’Inps, emerge che un gran numero di casi aveva già un altro impiego ma, ciò nonostante, essendo stati assunti con contratto di collaborazione potevano svolgere anche un’altra attività lavorativa.
Pare quindi che la misura di contrasto alla lotta alla povertà si sia trasformata in un sussidio permanente con mantenimento a spese della collettività. In questo senso molti rimpiangono i “lavori socialmente utili” istituiti dall’ex premier Massimo D’Alema che quantomeno, a fronte di un sussidio pubblico mensile, obbligava i disoccupati e gli indigenti a prestare attività di utilità sociale presso la pubblica amministrazione. Ai dati di fatto si sono quindi aggiunte anche le critiche del mondo bancario che non ha mancato di esprimere il proprio disappunto sul reddito di cittadinanza. Secondo Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, “si è esaurita ormai la fase degli ultimi 3-4 anni in cui le politiche assistenziali producevano cospicui consensi. Oggi si deve prendere atto che le garanzie sociali non mettono le ali alla ripresa e che la povertà si vince puntando sullo sviluppo, naturalmente senza mai rinunciare al dovere di sostenere chi vive in condizioni di disagio.”
Un provvedimento che ha prodotto fino ad ora debito pubblico e non ha creato nuovi posti di lavoro con risultati che appaiono abbastanza insoddisfacenti. A mancare sono gli investimenti nella crescita e nello sviluppo. A partire dal prossimo 1° ottobre un beneficiario su tre non troverà sulla sua carta elettronica Postepay la consueta ricarica di fine mese. E sì, perché la madre di tutte le mance di Stato è un congegno ad orologeria che si interrompe da un giorno all’altro. Nell’arco di un triennio – da qui al 2022 – peserà sui conti pubblici per 25,9 miliardi di euro – quanto spendiamo per l’Università, molto più di quanto (11,6 mld) investiremo nella ricerca. Una tendenza destinata a crescere visto che tra il mese di marzo e aprile scorso si è registrato un boom di domande (+9%). I navigator hanno percepito in questi mesi uno stipendio di circa 1.700 euro. Sono stati al centro di tante polemiche e di un tira e molla tra governo, regioni e centri per l’occupazione. Ma il peggio per loro forse deve ancora arrivare : il contratto di durata biennale scadrà nell’aprile 2021.
Non da sottovalutare in questi 18 mesi la mole di truffe ai danni dello Stato: dallo smartphone acquistato con la benefica card ai tanti soggetti (oltre 22 mila interventi) segnalati alla Guardia di finanza accusati di percepire indebitamente il sostegno. Omettiamo lo sconfinato elenco di dichiarazioni mendaci, falsificazione di dati patrimoniali, casi di lavoro sommerso, etc, etc. Furbetti che si sommano a furbetti che approfittano delle misure adottate finora durante l’emergenza sanitaria, tutte volte ad elargire bonus a pioggia e che hanno il solo scopo di offrire una mancia temporanea. Misure inutili che non aiuteranno la ripartenza del Paese se non vengono tagliate le tasse, come l’Iva e le imposte legate alla burocrazia. È necessario alleggerire le tasse sulle imprese alle quali sono affidate le concrete speranze di un rilancio del Paese.