Passeggiando per le viuzze del paese, vedo un negozio che… mi sorprende. Più che un negozio, una bottega. Piccola, abbastanza oscura. Nell’unica, disadorna, vetrina, un paio di cinghie di cuoio, e delle vecchie forme di legno. Quelle che si usavano, un tempo, per mettere, appunto, in forma le scarpe. O per cucirle a mano tutto intorno.
Un calzolaio. Uno dei mestieri, ormai, perduti. Chi mai, oggi, si sogna di farsi risuolare le scarpe? O di farle allagargare? O di ridare loro una forma decente, quando ormai consunte e sfondate?
Le moderne calzature sono, per lo più, snikers. Con la tomaia in gomma. Quando si rompe, si buttano le scarpe. E se ne comprano di nuove. E, poi, ben pochi portano ancora scarpe di pelle o di cuoio. La generazione dei ragazzi, come mio figlio, quasi non ne conosce l’esistenza…
E così i calzolai, o, come si diceva un tempo, ciabattini sono scomparsi. Come tanti altri mestieri, botteghe artigiane che rappresentavano il tessuto vitale di ogni città e paese. Il lattaio, ad esempio. Quello che vendeva solo latte e derivati. E che è rimasto ingoiato in quel buco nero del piccolo commercio che sono i supermercati. Come il vinaio o vinattiere. E ormai sembra segnato anche il destino del fruttivendolo…
Però sono soprattutto gli artigiani ad essere sostanzialmente, scomparsi. Il fabbro… lo spazzacamino, reso figura romantica dalla Mary Poppins disneyana. Lo stagnino. Di cui manco ci si ricorda cosa facesse… Il tappezziere. Il materassaio. L’arrotino. Ormai raro come un panda anche il falegname.
“Io son Hans Christian Andersen, e faccio il ciabattin…”. Cantava Danny Kaye – ma la voce era quella del nostro Virgilio Savona, del Quartetto Cetra…. ed era il 1956, il film musicale di Vidor, sul grande, scrittore di fiabe danese …. Vita romanzata in stile Hollywood, naturalmente. Che il vero Andersen era stato tutt’altro che un cuor contento come il personaggio del film. E fu scrittore e poeta, non di fiabe soltanto. Narratore sospeso tra il gotico romantico e un certo realismo sentimentale, apprezzato da Dickens. Con cui ebbe una amicizia… conflittuale. E, soprattutto, autore teatrale. Però, di lui si ricordano soorattutto le fiabe. E il fatto che fosse stato – negli anni della miserabile infanzia – ciabattino.
Per altro le fiabe, non solo quelle di Andersen, con ciabattini e calzature hanno spesso a che fare. Penso al, famoso, Gatto con gli stivali. Che ebbe molte declinazioni, tra cui quella del nostro, immancabile, Basile. Sino all’interpretazione romantica di Ludwig Tieck. E penso, naturalmente, alle “Scarpette rosse” sadico, in fondo, apologo morale del nostro “ciabattino” di Copenhagen.
Per altro, Andersen era attratto dal mistero. Dall’orrore come dal fiabesco. E quando giunse in punto di morte, chiese, come lascito testamentario, che sul suo cadavere venisse compiuto uno strano rito, aprendogli un’aorta…. dicevano che, così, pensava di riuscire a superare la morte. E ritornare.
Ubbie romaniche, si dirà. Che nulla hanno a che vedere con mestiere di calzolaio. Da cui sei partito. Sei sempre il solito “dottor Divago” come ti avevano soprannominato i tuoi studenti…
Può essere… però, vedete, per me la bottega del calzolaio ha avuto sempre un qualche fascino misterioso.
Forse perché, da ragazzino, la bottega vicino a casa era gestita da due fratelli. Gemelli. Due gocce d’acqua, non fosse stato che uno aveva tutta la parte destra del volti sfigurata. Da un’orrbile “voglia di vino”. Rubizza e turgida. Che gli conferiva un aspetto mostruoso. In realtà era uomo buonissimo e taciturno. Timido, inevitabilmente. Se ne restava per lo più sul retro, a lavorare. Lasciando al fratello il trattare con i clienti. Sembravano un unico uomo. Ma con un lato diurno e l’altro…. oscuro…
E poi…. Jacob Bohme faceva proprio il calzolaio. E lo fece per tutta la vita. Ma era uno dei massimi “mistici tedeschi”. Un maestro di spiritualità. Di ascesi e di esoterismo. E un veggente.
E faceva, proprio, il… ciabattino.
Beh, poi sono entrato in quella bottega. L’odore di cuoio e colle mi ha trasmesso un brivido di piacere. Un viaggio sensoriale nella memoria.
Ma nel locale in ombra, al bancone di lavoro non c’era un vecchio calzolaio dall’aria cupa e misteriosa. C’era…. una graziosa ragazza bionda. Palesemente non italiana.
Decisamente i tempi sono i mutati.
Anche gli ultimi calzolai non sono più come una volta .