I giustizialisti italiani, eufemismo di “manettari al servizio dei magistrati”, ci saranno rimasti male: il marciatore Alex Schwazer è stato assolto dall’accusa di essersi dopato. Ma, ancora più significativo, il magistrato ha dichiarato che l’atleta azzurro è stato incastrato. Ed i veri colpevoli, dunque, sono i vertici dello sport e dell’atletica in particolare.
La sentenza non restituirà al campione gli anni migliori per la pratica sportiva. Anni rubati da chi voleva eliminarlo, trasformandolo nel capro espiatorio per un mondo che di pulito ha sempre meno. E il doping è l’arma migliore per colpire gli avversari – anche sotto l’aspetto geopolitico – salvando immancabilmente gli amici.

Si chiudono gli occhi in alcuni casi, in altri si spalancano. Si vietano le gare agli atleti che hanno la bandiera scomoda, si tollera di tutto e di più se si gareggia sotto il vessillo “giusto”. Non è più sport, è business e spesso è molto di peggio. Le Olimpiadi di Atlanta hanno rappresentato il simbolo di questa negazione dello spirito sportivo. Non giochi olimpici ma giochi della Coca Cola.
Schwazer ha pagato un prezzo spropositato dopo essere stato davvero colpevole in un caso. Ma ha pagato quando, sotto la direzione ed il controllo di un tecnico severo e rigoroso come Donati, si era rimesso i nuovi carreggiata con impegno ed onestà.
Però le anime belle del politicamente corretto si erano scagliate contro l’atleta. Perché le anime belle non vedono il business, non vedono arbitraggi indecenti, non vedono ignobili favoritismi. Bisogna credere ai giudici, agli arbitri, ai dirigenti. Bisogna accettare verdetti scandalosi, squalifiche mirate ed assoluzioni vergognose. In atletica, nel ciclismo, nel calcio, nel pugilato, nel pattinaggio, nei tuffi. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

E poi ci si stupisce se, in Italia, il ministero allo Sport era stato affidato a chi, per sua stessa ammissione, di sport non sapeva assolutamente nulla.