Quando si approcciano scultori contemporanei che rimangono nella tradizione figurativa, ci si aspetta ormai, oltre alla cifra stilistica personale (che se non è riconoscibile poco aiuta alle vendite), delle innovazioni dal punto di vista di contenuto e, semmai, sperimentazioni sui materiali e sulle loro interazioni, grande esempio il nostro Christian Zucconi.
Questo perché le avanguardie del secolo scorso hanno esplorato i limiti della figurazione fino a trasferirsi sul piano astratto.
Si può quindi rimanere piacevolmente sorpresi quando si inciampa in un artista (anzi un’artista, in questo caso) capace di dialogare con la modernità, pur partendo da una tradizione che ormai si dà per assolutamente superata, almeno dal punto di vista teorico.
Catherine Thiry, scultrice nata a Lasne, classe 1962, dopo un percorso da pittrice ha maturato un linguaggio scultoreo le cui origini sono facilmente rintracciabili in quel deperimento e scarnificazione della materia inaugurato dalla coppia Rodin-Claudel e poi portato avanti da scapigliati, secessionisti, ecc. fino a toccare il culmine con Giacometti e facendo diventare, inoltre, il non finito di michelangiolesca memoria, opera completa.
Basti pensare che al Musée d’Orsay son esposti molti bozzetti, scarni e incompiuti di Dégas e dello stesso Rodin, colati, postumi, in bronzo e alcuni di essi risultano molto più attuali di altre loro opere “completate”.
Le sculture in bronzo dell’artista belga mostrano una materia dinamica, fluida con a vista i colpi di spatola e dita grossolani, espressionisti. Tutto già visto, certo: Rosso, Laviano, Bazzaro, Grandi, Troubetzkoy, ci sono arrivati un secolo fa, ma il cortocircuito artistico per il quale Thiry merita almeno una visita sul suo sito www.catherinethiry.be è rintracciabile in due volti, quello di un uomo e quello di una scimmia, Effigy e Lucid.
In questi due volti la sintesi creata dall’artista raggiunge un linguaggio modernissimo: un tratto da fumetto, una liquidità grafica un po’ metallica, tipica dei dipinti digitali. Confrontare con i ritratti dell’artista serba Ivana Besevic o un gorilla di Ewen Macaulay per credere (Immagine in alto).
Il risultato mostra ancora una volta le potenzialità del binomio plastilina-bronzo ma soprattutto, ed ecco il potere di queste opere, come i medium classici, ancorché statici e solidi, possono confrontarsi e ispirarsi alla rivoluzione digitale in un gioco di rimandi che non esclude nessuno dalla partita.
Certo non bastano due sculture a definire una corrente, e resta da capire quanto scientemente la scultrice abbia compiuto questa ricerca artistica, ma sicuramente le sue sculture possono contribuire alla riflessione scultorea, in particolare in relazione ai risultati della pittura digitale, nell’ottica di creare contaminazioni innovative capaci di parlare di e con le nostre generazioni.