Una delle rubriche più lette de La Stampa è “Buongiorno” l’elzeviro quotidiano che compare in calce alla prima pagina. Parecchia gente, specie quella che non compra il giornale ma che si limita a scorrere i titoli mentre al bar sorseggia il primo caffè della giornata, legge soltanto quell’articolo per via della sua concisione.
Quando a curare questa rubrica era Massimo Gramellini molti si domandavano come fosse possibile che la stessa persona potesse disquisire un giorno di calcio e il giorno dopo di politica internazionale, passando attraverso tutto lo scibile umano.
Ma da quando Gramellini è passato al Corriere della Sera e il “Buongiorno” è stato affidato al vicedirettore della Busiarda Mattia Feltri, più volte mi è capitato di rimpiangere il suo predecessore. Molto spesso, infatti, faccio fatica a comprendere dove Feltri voglia andare a parare con i suoi pistolotti. Capisco che, specie se si parla di politica, l’autore cerchi di evitare di scontentare chi la pensa in modo diverso da quella che è la linea politica del giornale, schierata apertamente con i poteri forti del Sistema Torino e non solo, ed in sintonia con il pensiero unico espresso in un tono ed un linguaggio politicamente corretto.
Stupisce pertanto che proprio Mattia Feltri, sul numero uscito martedì 10 settembre, abbia lasciato che fosse il direttore Molinari ad occuparsi del discorso di insediamento del secondo Governo Conte e abbia scritto di un argomento che sorprendentemente ha trovato spazio su tutti i principali quotidiani italiani.
“Facebook e Instagram – dice Feltri – hanno deciso di spegnere le pagine di CasaPound e Forza Nuova e dei loro dirigenti”.
Sorprende però che il punto di vista del vicedirettore non coincida con quanto ci si potrebbe aspettare da lui o dalla linea del suo giornale.
“È ignota la colpa specifica di CasaPound e di Forza Nuova, se non quella di aver “diffuso l’odio”, capo d’imputazione accettabile forse nei tribunali di Stalin e applicabile, ben oltre l’estrema destra, a metà della popolazione attiva online. Niente, la condanna è pronunciata e inappellabile per editto del Re Sole, ossia Mark Zuckerberg, padrone dei social”.
E la critica non si ferma mica qui. Si insinua infatti che la censura possa andare anche oltre, da parte di ”aziende private ormai evolute a servizio pubblico”. E conclude: “Sulla legge dello Stato troneggia un’azienda privata, opaca e sovranazionale con cui si separano i giusti dagli ingiusti: se ne sono viste poche di robe più fasciste”.
Si sente che il periodare di Feltri è frutto di un’indignazione che sarà difficile ritrovare in altri suoi articoli. Forse in lui si sono fatte strada la frustrazioni del giornalista della carta stampata che si vede superare tutti i giorni dai media telematici. Ma che si arrivi ad accusare Zuckerberg di essere più fascista dei fascisti, questo non ce lo saremmo davvero mai aspettato.