Concepiamo il tempo come una sorta di linea retta. Una linea che corre, sempre uguale, verso l’infinito. Su un piano, privo di dossi e asperità. Priva, la retta, di fratture, di jati. Di vuoti e silenzi.
Ma il nostro tempo non è euclideo. La sua continuità ininterrotta è solo illusione. A ben vedere, la massima illusione. Che, forse, ci aiuta, come ogni illusione, a vivere. E questo è ancora una volta, Leopardi, certo. Tuttavia ci rende prigionieri, grigi. Ci spegne. E questo, pur rivisitato e forzato, è Siddhartha, il Sakyamuni. Quello che chiamano Buddha.
In questa concezione, dal cacciatore raccoglitore del paleolitico – che rischiava ogni giorno la vita, e lottava con tutte le sue forze – all’odierno cittadino – che gira con mascherina e visiera in auto da solo, per tema del virus – non vi è alcuna soluzione di continuità. Uno sarebbe la naturale evoluzione dell’altro. Anche se mi sembrano imparentati meno dell’ornitorinco con un delfino….
Però, se riflettiamo bene, ci rendiamo conto che le cose non stanno proprio così. Che il tempo non è una retta che corre all’infinito su uno spazio piano. Piuttosto in uno spazio concavo. O convesso. O entrambe le cose insieme. Una dimensione, diciamo così, non euclidea. E non vi è alcuna retta. Piuttosto… dei segmenti. Delle linee contorte. E spezzate. Con dei vuoti, che fanno da intervallo. Una sorta di musica dodecafonica. Fatta di dissonanze. E consonanze profonde e remote.
Non è, come qualcuno potrebbe pensare, una mera astrazione. Anzi, la dimostrazione, la prova provata, è assolutamente empirica. Basta prestare attenzione ad alcuni momenti della vita. A momenti particolari.
Rivedo un vecchio amico. Dopo oltre 15 anni. In cui non ci siamo neppure mai sentiti. Anzi, a pensarci bene, nel corso della vita, ci saremmo visti, in tutto, una decina di volte, sì e no… Però è uno con cui ho molte consonanze. Una visione comune. E mi viene incontro come se ci fossimo lasciati solo ieri. E ricominciamo a parlare riallacciando discorsi interrotti. E fino ad oggi dimenticati.
Un vecchio film, del 1978, di Robert Mulligan. Con uno straordinario Alan Alda. Ed Ellen Burstyn, che ebbe l’Oscar. Più che un film, una commedia, tutta in interni. Anzi. Un unico interno un bungalow di Motel. Dove i due protagonisti hanno un primo, fugace, incontro. L’avventura di una sola notte, in apparenza. Che però diventa un appuntamento fisso. Alla stessa data, nello stesso luogo. Per decine di anni. I due hanno le loro vite, famiglie, affetti. Problemi e noia. Ma, una volta all’anno, sospendono il tempo ordinario. E si incontrano. Non è una banale storia di sesso. Bernard Slade, un geniaccio canadese prestato ad Hollywood, l’aveva scritta per il teatro. Ed è una commedia di parola. La relazione fra i due non è legata al letto. Ma al dialogo. Che ogni volta si interrompe. Ed ogni volta riprende come se non fosse passato un anno.
È quello che intendo per tempo spezzato. O segmentato. È Amore. Un amore strano, si potrebbe dire. Anche se tutti gli amori, a ben vedere, sono strani. Particolari. Diversi. Eppure è un rapporto… distante. Nel tempo e nello spazio. I due protagonisti creano un tempo straordinario. Una dimensione solo loro. Al di fuori della monotonia del vivere.
E veniamo a Dante. Già mi sento nelle orecchie la voce del direttore: Ma che ti sei montato la testa? Ti credi per caso Gianfranco Contini?
Per carità… è solo che Dante mi aiuta a spiegare tante cose. Perché in lui, in fondo, c’è tutto.
Quanti sono gli incontri con Beatrice – sempre che di incontri sia lecito parlare – nella Vita Nova? Così, andando a memoria, non più di una decina. E distanti, pure, nel tempo. Eppure…
Eppure da lì è nata la Commedia. Nel tempo ordinario Dante ha preso moglie, avuto (almeno) tre figli. Amato molte donne. Fatto politica. Combattuto. Viaggiato. Scritto capolavori poetici e opere di incredibile scienza…
Nel tempo ordinario. Ma in quegli jati, brevi, brevissimi, c’era solo lei. Beatrice. E solo di quelli parla nella Vita Nova. Che è un titolo ben più significativo di quanto si creda.
La linea spezzata. Gli intervalli di tempo effimeri. Ma che contano molto di più della continuità monotona e grigia.
In fondo, il… Destino. O meglio I destini che si incontrano, e che, per qualche remota e misteriosa ragione, non si possono compiere nella quotidianità. E restano sospesi. In una dimensione… altra. Quasi non appartenessero a questo mondo.
Ma ad un altro. Diverso e distante. E non soggetto all’erosione del tempo ordinario.