Dal nostro corrispondente a Mosca
15-16 settembre 2022, Samarkand, Uzbekistan. Si tiene il cosiddetto Vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, anche conosciuta come ШОС-SCO. Trattasi di un’organizzazione internazionale intergovernativa, regionale, avente competenza settoriale in ambito economico, politico e nei security issues. Essa origina nel lontano 1996 dall’avvio del processo di distensione sino-russa seguito al crollo dell’URSS, che presto coinvolge anche alcuni dei paesi centrasiatici post-sovietici più prossimi al punto di contatto delle due potenze telluriche, per poi formalizzarsi ufficialmente nel 2001.
Per i più attenti ne risulta perciò evidente che il processo di avvicinamento tra Mosca e Pechino, contrariamente a quanto sparato a reti unificate nelle Gazzette di Pyongyang italiane, è frutto di un lungo e pluridecennale processo di disgelo tra le parti, di un vero e proprio superamento di diffidenze storiche che hanno raggiunto il loro apice nelle stagioni della competizione socialista e della ping-pong diplomacy, invece che creazione improvvisata di un presunto asse maligno e ostile alle democrazie occidentali.
Chi mastica politica internazionale sa (o dovrebbe sapere) che non esistono amicizie sincere tra le nazioni, quanto piuttosto partnership utili e vantaggiose tra le parti o, in caso di inimicizie, interessi contrastanti e divergenti. Ebbene tornando al punto iniziale, questo Vertice iniziato nella giornata del 15 settembre concentra su di sé molte aspettative, specie da parte della platea euro-americana: il meeting tra Vladimir Putin e Xi Jinping dopo il precedente in terra cinese di febbraio, antecedente all’escalation delle ostilità in Ucraina; la seconda visita internazionale ufficiale (che seguita alla tappa in Kazakhstan) di Xi Jinping, dopo due anni trascorsi in patria dallo scoppio del focolaio di Wuhan nel 2020; lo stato delle operazioni militari in Ucraina e il suo riscontro internazionale; i contenuti del Vertice e lo stato delle relazioni sino-russe e altro ancora.
Spesso queste aspettative sono accompagnate da uno stato di euforia e di eccitamento alquanto banali, se non proprio infantili, degli analisti occidentali, colti dal bisogno spasmodico di dare un’osservazione, prettamente speculativa, dei fatti e sovente ideologica. Ma occorre procedere con ordine: il Vertice di quest’anno è degno di nota poiché si inserisce nel quadro della crisi internazionale più esplosiva degli ultimi anni, ben oltre quella siriana, e perché può essere contestualizzata in una cornice di un sistema e di un ordine internazionali che hanno raggiunto il cosiddetto “tipping point”, o similmente “punto critico” o “punto di svolta”, caratterizzato perlopiù dall’acuirsi dello scontro sistemico, politico e ideologico tra gli Stati Uniti e le potenze emergenti e ri-emergenti, tra le quali spiccano Russia e Cina.
Allo stesso modo, dalla prospettiva della politica estera russa, che sarà la lente di ingrandimento dei fatti che vengono descritti, questo Vertice assume un’importanza non secondaria per due fattori: il primo, esso certamente occupa un posto nella rete complessa di relazioni interstatuali su cui la Federazione Russa sta puntando con fermezza dopo lo strappo politico ed economico con l’Unione Europea, il cui conseguente decoupling sta costringendo Mosca ad affrettare i tempi per diversificare gli orientamenti e le partnership prioritarie della propria politica estera, una volta venute meno l’accountability e la fiducia tra le parti, al fine porre in essere quel processo di autonomizzazione e neutralizzazione permanente del meccanismo sanzionatorio varato dal G7 a cui la Russia aspira; il secondo, conseguenza del primo fattore, corrisponde al fatto secondo cui il Vertice si inserisce in una linea temporale, che in questo settembre parte dall’avvio delle esercitazioni militari congiunte Vostok22 e passa per il Forum Economico di Vladivostok, molto recente e interessante per analizzare l’evoluzione degli orientamenti strategici della politica estera russa e la sua “orientalizzazione”, il c.d. “shifting”.
La prima giornata del Vertice di Samarkand, più in dettaglio, assume un’importanza simbolica per lo stato dell’Organizzazione stessa, dato l’allargamento formale alla Repubblica Islamica dell’Iran, che aderisce così come membro de facto previa la firma del memorandum ufficiale di adesione. Allo stesso modo, questo Vertice del 2022 vede l’ingresso nella fase finale del processo di adesione alla ШОС della Repubblica di Bielorussia, mentre si attendono l’assegnazione probabile dello stato di candidato alla membership a paesi come Egitto, Arabia Saudita e Qatar, cosa che sancisce così un’ulteriore dimensione continentale e internazionale all’Organizzazione, che ne guadagna in termini di prestigio assoluto.
Tra i vari possibili partners futuri e osservatori odierni si notano paesi come: Turchia, Armenia, Azerbaijan, EAU, Siria, Myanmar, Nepal, Cambogia, Sri Lanka. Tutti potenziali allargamenti futuri che andrebbero a rimpolpare il bacino demografico, che si traduce in forza negoziale internazionale, di un’Organizzazione che, allo stato attuale, già conta circa 3 miliardi e 300 milioni di abitanti.
E allora, per quanto concerne i vettori della politica estera russa, dunque la protezione delle frontiere meridionali e il potenziamento di partnership strategiche esistenti, è utile menzionare quanto segue. Per quanto concerne il primo aspetto, l’accordo per l’elaborazione di alcuni partenariati strategici tra Federazione Russa-Turkmenistan, Federazione Russa-Kirghizistan e Federazione Russa-Uzbekistan, su cui molto ha inciso il ruolo della “diplomazia personale” e che si baseranno essenzialmente sulla promessa reciproca di andare oltre le formalità sulla carta, pertanto potenziando il livello di integrazione economico-infrastrutturale tra gli Stati tramite l’implementazione di pacchetti di investimento mirati, la fornitura di materie prime e il ruolo veicolare della lingua russa, a sua volta rafforzato dalla progettazione di nuove scuole di lingua russa in terra straniera attraverso il ruolo determinante dell’agenzia umanitaria Rossotrudnichestvo, sulla base del modello già visto recentemente in Tajikistan.
Per quanto riguarda, invece, il rafforzamento delle partnership strategiche esistenti e lo sviluppo di nuove, è interessante menzionare il bilaterale russo-iraniano, russo-pakistano e sino-russo, facendone un bilancio complessivo di tutte.
La partnership Mosca-Teheran sta raggiungendo livelli elevati, al punto da arrivare al grado di “partenariato strategico” e ha riflessi tangibili in ambito: economico-finanziario (ambedue sono tra i paesi più sanzionati dall’Occidente, infatti), con evidenza nella reciproca assistenza tra i paesi sanzionati nel settore bancario, nell’aumento del flusso di investimenti reciproco e nella maggiore cooperazione energetica; politico-diplomatico, evidente nella coincidenza-vicinanza delle posizioni russe e iraniane nelle maggiori issues internazionali; e infine in ambito militare, vista l’oramai non più smentita presenza di droni Shahed sui campi di battaglia in Ucraina.
In egual modo, è cruciale ma ancora in divenire lo stato delle relazioni tra Russia e Pakistan, che vede come prioritari la cooperazione in ambito energetico e la fornitura di materie prime lungo il corridoio North-South verso Gwadar, dove la presenza cinese è fattuale. Il Pakistan è altresì fondamentale per la stabilizzazione del nuovo Emirato dell’Afghanistan, specie alla luce degli stravolgimenti politici nei due paesi, vista la recente defenestrazione del premier Khan e il riorientamento moderato della politica estera di Islamabad (constatato anche nella debole partecipazione del Pakistan al Vostok22); infine, una solida cooperazione col Pakistan ha riflessi sulla stabilità della presenza Russa, in prospettiva, sull’Oceano Indiano, in Medio Oriente e sul Golfo Persico, portando continuità ulteriore lungo l’asse verticale con Teheran, il tutto da sommare alle direttrici già consolidate del Mar Caspio e del Caucaso.
Tuttavia, ciò che è di maggior interesse, per ovvie ragioni, è il nuovo sviluppo delle relazioni sino-russe a cui si assiste nel Vertice, ora proiettate verso lo sviluppo programmatico di un asse economico mondiale in Asia de-dollarizzato (progetto Northern Far East 2050, linea Harbin-Vladivostok), prospettiva già ampiamente citata al Forum di Vladivostok, secondo una base di concertazione triangolare tra Cina, Russia e Mongolia, vera e propria sorpresa di questo Vertice ШОС data la tradizionale estraneità del paese dei Khan al formato SCO. La triangolazione tra Cina, Russia e Mongolia sarà così di valore cruciale per il potenziamento della rete win-win dei gasdotti Power of Siberia e per lo sviluppo futuro di Power of Siberia 2, un processo che vedrà dunque la Mongolia inserita a pieno titolo nella energy chain sino-russa del prossimo futuro in qualità di paese transito e, pertanto, inserita nei processi di attesa maggiore integrazione economica tra le due potenze vicine, secondo il modello di Blagoveschensk. Dal lato politico e diplomatico, dopo la trattazione dell’andamento delle operazioni militari in Ucraina, le controparti russa e cinese hanno rinnovato l’impegno per un sostegno reciproco incondizionato nei relativi core issues/interests (1CP, approccio cinese “moderato e bilanciato” alla crisi in Ucraina), con l’obiettivo programmatico di espandere le aree di partenariato strategico al fine di costruire, data per consolidata la differenziazione nella distribuzione internazionale di potere, un modello di ordine internazionale valido e alternativo alla pace unipolare e unilaterale statunitense.